La volpe Renardo
- Willem, che scriveva tanti libri (1),
- per cui spesso rimaneva sveglio la notte (2),
- rimpiangeva molto il fatto che
- le avventure di Renardo
- fossero rimaste incomplete in nederlandese
- - Willem (3) non l'aveva portata a termine -
- perciò fece cercare la vita (4) di Renardo
- e secondo i libri francesi,
- ha iniziato così in nederlandese.
- Che Dio ci assista!
- Anzitutto rivolgo l'attenzione a questo:
- prego sia i villani
- che gli sciocchi (5) che,
- se vengono a sentire
- queste rime e queste parole,
- le quali non hanno alcun senso per loro,
- le lascino intatte.
- Assomigliano troppo al corvo,
- che si comporta sempre così scioccamente:
- falsificano diverse rime
- perché non ne (di poesia) sanno più di
- quanto io sappia come si chiamano coloro che
- vivono attualmente in Babilonia.
- Se volessero comportarsi bene, la smetterebbero.
- Non dico questo per me stesso:
- il mio poema sarebbe rimasto silenzio,
- se una (signora), che tiene tanto
- al comportamento cortese,
- non me l'avesse chiesto. (6)
- È stata lei a pregarmi di scrivere
- sulle avventure di Renardo.
- Visto che depreco i brontoloni,
- gli zotici ed gli stupidi,
- voglio che (il poema) venga ascoltato da coloro che
- tengono molto all'onore (7),
- che cercano di vivere cortesemente
- - poveri o ricchi che siano -
- e che lo comprendano con buon senso.
- Ascoltate ora come inizio!
- Era Pentecoste (8)
- boschi e cespugli
- erano ricoperti di foglie verdi. (9)
- Il re Nobile aveva fatto annunciare
- ovunque la cerimonia di corte (10)
- perché si aspettava, se tutto andava bene,
- di aumentare il suo potere.
- Poi arrivarono alla reggia
- tutti gli animali, grandi e piccoli,
- tutti, tranne la volpe Renardo. (11)
- Aveva fatto talmente tanti torti alla corte
- che non osava andarci.
- Chi si riconosce colpevole, sta attento!(12)
- Così stavano le cose per Renardo
- e perciò evitava il palazzo reale
- dove godeva di una pessima reputazione.
- Una volta radunati a corte,
- lì non c'era nessuno, il tasso escluso,
- che non si stesse lamentando di Renardo,
- il fellone dalla barba grigia (13).
- Adesso segue un'accusa.
- Isengrimo (14) e i suoi parenti
- si posizionarono di fronte al re.
- Isengrimo iniziò subito
- e disse: 'Signore Re,
- appellandomi alla Vostra nobiltà, al Vostro onore,
- e alla giustizia e alla grazia
- abbiate pietà dei miei torti subiti
- per colpa di Renardo,
- del quale ho ricevuto spesso
- danni e grande disonore.
- Abbiate pietà soprattutto del fatto che
- ha stuprato mia moglie (15)
- e che ha maltrattato i miei figli
- Siccome gli ha pisciato addosso mentre stavano sdraiati,
- due di loro non vedranno mai più
- che sono diventati completamente ciechi.
- Per lo più, da allora mi prende in giro:
- si arrivò a tal punto
- che un giorno venne preparato un processo
- durante il quale Renardo avrebbe giurato
- la sua innocenza, ma quando
- gli portarono le reliquie,
- cambiò subito idea e
- si rifugiò nella sua fortezza.
- Signore, lo sanno i cortigiani più distinti
- oggi qui presenti
- che Renardo, quell' animale fellone,
- mi ha fatto tanti torti.
- Li ricordo tutti senza alcun dubbio,
- se tutto la stoffa prodotta ora a Ghent (16)
- fosse stata pergamena,
- non sarebbe bastata
- per metterli tutti per iscritto.
- Quindi lasciamo perdere.
- Ma il disonore procurato a mia moglie
- non va insabbiato, né messo a tacere,
- bensì vendicato.'
- Quando Isengrimo aveva detto questo
- Un cagnolino di nome Cotoys (17) si alzò
- e si lamentò con il re in francese
- di quanto una volta era povero,
- e di come durante un inverno,
- di gelo intenso, non possedeva
- altro che una salsiccia.
- Renardo, quell'uomo fellone,
- rubò proprio quella salsiccia.
- Tiberto il gatto si arrabbiò (18);
- perciò diede inizio al suo discorso
- saltò in mezzo al cerchio giuridico
- e disse: 'Signore re,
- siccome Voi vi mostrate ostile a Renardo,
- tutti qui, i giovani e gli anziani,
- sporgono querela di fronte a Voi.
- Il fatto allora accusato da Cortoys,
- è successo tanti anni fa.(19)
- Quella salsiccia era mia, eppure non mi lamento.
- L'avevo ottenuta grazie alla mia astuzia
- quando una notte stavo
- in cerca di prede dentro un mulino,
- dove rubai la salsiccia
- al mugnaio addormentato.
- Se Cortoys ne traesse qualche vantaggio,
- sarebbe solo grazie a me.
- Sarebbe giusto che l'accusa
- di Cortoys fosse respinta.'
- Pancero, il castoro, disse: 'Pensi sarebbe giusto,
- Tiberto, se si respingesse l'accusa?
- Renardo è un vero assassino,
- un imbroglione e un ladro.
- Non tiene a nessuno,
- nemmeno al re, signori miei,
- vorrebbe che uno perdesse la vita e l'onore
- se potesse guadagnarci
- un bel pezzo di pollo.
- E cosa dici del tranello?
- Ieri in pieno giorno non commise
- uno dei delitti più scandalosi?
- ai danni di Cuwarto, la lepre che sta qui,
- che non ha mai fatto male a nessun animale.
- Durante il periodo di pace (20) e
- di protezione reale proclamato dal sovrano
- (Renardo) promise di insegnargli (a Cuwarto) il credo
- e di farlo cappellano.
- Prima lo fece sedere
- stretto fra le sue gambe (21)
- Poi iniziarono insieme
- a fare esercizi sia di sillabazione che di lettura
- e a cantare ad alta voce il credo.
- Succedeva che proprio in quel momento
- stessi passando per lo stesso posto.
- Quando sentii i loro canti
- mi affrettai verso di loro.
- Poi vidi lì il maestro Renardo
- che aveva rinunciato alle sue lezioni
- appena iniziate
- e che si serviva delle sue vecchie carognate.
- Presi Cuwarto per la gola,
- gli avrebbe staccato la testa
- se non l'avessi soccorso
- Per puro caso mi trovai lì.
- Guardate qui, le ferite fresche rimaste
- e le cicatrici, Signore re,
- che sono state inflitte a Cuwarto (22).
- Se Voi lasciate impunito
- il fatto che ha interrotto la Vostra pace
- e se non Vi vendicate come suggeriscono i Vostri vassalli,
- allora se la prenderanno con i Vostri figli
- ancora per moltissimi anni.'
- Perdìo, Pancero, Lei dice la verità!',
- disse Isengrimo da dove stava.
- 'Signore, se Renardo fosse morto, sarebbe un bene per noi,
- così Dio salverebbe la vita a me.
- Tanto se questo gli viene perdonato
- entro il mese schernirà
- chiunque che non se l'aspetta'.
- Poi si alzò sul colpo Grimberto, il tasso,
- che era il figlio del fratello di Renardo,
- con una difesa dal tono indignato:
- Signor Isengrimo, conosciamo bene
- il vecchio detto:
- 'Di rado la bocca del nemico parla bene.'
- Ascoltate e date importanza alle mie parole:
- Vorrei stesse appeso ad un albero.
- Per la gola, come i ladri
- colui che abbia fatto più male agli altri.
- Signor Isengrimo,
- vuole riconciliarsi con lui?
- In questo Le aiuto volentieri.
- Di sicuro mio zio non opporrà resistenza
- e colui che più di tutti ha fatto soffrire gli altri,
- sarà in debito con gli altri
- sia con mio zio che con Lei.
- Nonostante che adesso non viene a sporgere querela,
- se mio zio fosse ben visto a corte
- e stesse nelle grazie del re,
- come Lei, Signor Isengrimo,
- il re non L'apprezzerebbe così
- e non sarebbe rimasto tuttora impunito
- dopo aver afferrato la sua pelle
- tante volte con i Suoi denti pungenti
- così che non si potesse difendere.'
- Isengrimo disse: 'L'hai imparato
- da tuo zio a mentire spudoratamente?'
- Non ho mentito su questo.
- Lei ha ingannato mio zio
- spesso e in tanti modi diversi.
- Gli fregavi le passere di mare (23a)
- che lui Le gettava giù dal carro.
- Una volta lo seguì da lontano
- raccogliendo le migliori passere di mare
- con le quali si saziò
- e delle quali non gli lasciò niente
- sennonché le spine
- che gli portò
- perché non Le piacevano.
- Dopodiché l'hai preso in giro per quanto
- riguarda un prosciutto grasso e buono (23b)
- che infilò nel Suo musone.
- Quando Renardo domandò la sua parte,
- gli rispondesti schernendolo:
- 'Ti do volentieri la tua parte,
- Renardo, bel giovanotto!
- Ecco il filo a cui è stato appeso il prosciutto,
- masticalo che è bello grasso.'
- Renardo era stato bravo nel
- conquistare il buon prosciutto
- in circostanze pericolose: un uomo
- gli catturò e gli mise dentro il suo sacco
- Queste sofferenze e questi dispiaceri
- ha dovuto sopportare a causa di Isengrimo
- e ce ne sono cento volte di più di quanto Le enumero.
- Voi, signori, non credete che bastino?
- È ancora più scandaloso
- che si lamenta di sua moglie,
- che dedica tutta la sua vita (24) a Renardo
- lo ama, come lui ama lei.
- Anche se loro non l'hanno reso pubblico,
- io oso dire come verità
- che sono più di sette anni
- che è fedele a Renardo.
- Ma se Hersinta (25), quella donna bellissima,
- per amore e per mancanza di castità
- è venuta incontro a Renardo,
- qual è il problema? Si è ripresa (26) presto.
- Che cos'altro ne dobbiamo dire?
- Allora il Signor Cuwarto, la lepre
- trasforma una stupidaggine in un'accusa.
- Se non leggeva bene il credo,
- Renardo, che era il suo maestro,
- poteva pure punire il suo allievo, o no?
- Questo sarebbe stato davvero ingiusto.
- Cortoys si lamentava di una salsiccia
- che ha perso durante il gelo.
- Sarebbe meglio che questa accusa venisse respinta:
- era pure stata rubata, o no?
- Male quesite male perdite!
- Giustamente si perde
- ciò che si è ottenuto ingiustamente.
- Chi può rimproverare Renardo
- se ha sequestrato roba rubata?
- Nessuno che sappia distinguere il giusto!
- Renardo è un uomo retto.
- Da quando il re ha fatto proclamare la Sua pace,
- e la Sua protezione
- so che non ha
- fatto altro che comportarsi
- da eremita o monaco di clausura.
- Porta un cilicio di peli sulla pelle nuda.
- Nel corso dell'ultimo anno
- non ha mangiato carne, né quella selvatica, né quella addomesticata.
- Questo l'ha detto qualcuno che veniva da lui.
- Ha abbandonato Malcroys,
- la sua fortezza, e ha costruito
- una capanna nella quale vive.
- Altri bottini od altri redditi,
- che le offerte che gli danno,
- lo so bene, non ne ha.
- È pallido e magro dalle privazioni.
- La fame, la sete e dolori tremendi
- subisce per i suoi peccati.'
- Proprio nel momento in cui
- Grimberto stava dicendo questo,
- videro scendere
- giù dalla montagna Cantachiaro (27)
- che portava su un feretro
- una gallina morta che si chiamava Capa,
- di cui Renardo aveva staccato a morsi
- il collo all'altezza del gargarozzo.
- Ora, il re doveva sapere questo.
- Cantachiaro camminava di fronte al feretro
- sbattendo energicamente le ali.
- Ad entrambe i lati del feretro
- camminava un gallo di grande notorietà.
- L'uno si chiamava Cantore (28a),
- secondo il quale venne chiamato poi
- il buon gallo della signora Alenta.
- L'altro si chiamava, credo,
- il buon gallo Chirico (28b).
- I galli più belli che si trovassero
- tra il Portogallo e la Polonia.(29)
- Ognuno di questi galli
- portava un cero acceso
- che era lungo e dritto.
- Questi erano i due fratelli di Capa,
- i quali gridavano: 'Ahimè, Ahimè!'
- Per la morte della loro sorella Capa
- si lamentavano e si lagnavano.
- Variopinta e Macchiata portavano il feretro.
- Soffrivano tanto
- per aver perso la loro sorella.
- Si potevano sentire da lontano
- i pianti di loro due.
- Perciò erano venuti alla seduta di tribunale.
- Cantachiaro saltò nel cerchio
- e disse: 'Signore, re,
- per la grazia di Dio,
- ora abbiate pietà dei torti
- che Renardo mi ha fatto
- e dei miei figli (30) che stanno qui
- resi molto addolorati.
- Inizio aprile,
- quando l'inverno era passato,
- e quando si vedevano i fiori
- sparsi per i prati verdi,
- allora ero fiero e fiducioso
- delle mia stirpe numeroso.
- Avevo otto figli giovani
- e sette figlie giovani,
- a cui piaceva vivere,
- che Rosa, la saggia,
- mi aveva regalato da un'unica covata.
- Erano tutti grassi e forti
- e giravano in un bel pollaio
- che era circondato da un muro.
- All'interno ci stava una rimessa
- a cui appartenevano tanti cani,
- affinché ferissero tanti animali feroci.
- Perciò i miei figlioli non avevano paura.
- Questo dunque non sopportava Renardo
- che stessero talmente al sicuro
- da non riuscire a procurarsene uno.
- Quante volte non girava intorno al muro
- Renardo, il vicino fellone,
- cercando di attirarci in trappola.
- Quando lo vedevano i cani,
- lo rincorrevano con tutte le loro forze.
- Una volta, vicino al fossato,
- venne casualmente sorpassato,
- l'ho visto pagare caro
- per il suo furto e la sua rapina,
- che i peli svolazzavano.
- Eppure la scampò grazie all'astuzia.
- Che Dio lo maledica!
- Poi per un lungo periodo non abbiamo avuto a che fare con lui.
- Dopodiché venne vestito da eremita (31a),
- Renardo, quel ladro assassino,
- e mi portò da leggere una lettera sigillata
- Signore, re,
- sulla quale stava il Vostro timbro.
- Quando iniziò a leggerla
- mi parve di leggerci
- che Voi avevate proclamato la pace
- in tutto il Vostro regno
- a tutti gli animali,
- inclusi anche tutti i volatili.
- Mi portò anche altre notizie,
- disse di essere diventato
- un eremita isolato dal mondo
- e che aveva fatto tante
- pesanti espiazioni a causa dei suoi peccati.
- Mi mostrò il suo bastone e mantello da pellegrino (31b)
- che aveva portato da Elmare (32)
- e sotto quest'ultimo, un cilicio di peli ruvidi.'
- Poi disse: 'Signor Cantachiaro,
- d'ora in poi, può vivere
- senza stare in guardia da me.
- Ho giurato sulla stola di rinunciare
- alla carne ed allo strutto.
- Sono già abbastanza anziano
- da dover curare la mia anima.
- La raccomando Dio.
- Me ne vado che ho da fare.
- Ho da recitare le preghiere del giorno,
- quelle pomeridiane, mattutine e serali.'
- Poi si incamminò per la strada
- accanto al cespuglio. Con questo congedo
- andò a leggere il suo credo.
- Ero felice e sereno
- e andò dai miei figli.
- Ero privo di preoccupazioni
- cosicché , con le mie prole,
- andò oltre il muro.
- Lì mi capitò la brutta avventura.
- Perché Renardo, quel bugiardo fellone,
- si era infilato nel cespuglio
- e ci aveva tagliato la strada davanti al portone.
- Poi dal mucchio
- venne subito preso uno dei miei figli
- che Renardo mise nello stomaco.
- Brutte avventure mi aspettavano.
- Da quando ne aveva assaggiato uno
- nella sua bocca vorace
- né i guardiani né i nostri cani
- ci potevano né sorvegliare né proteggere.
- Signore, abbiate pietà di questo.
- Renardo cercava di attirarci in trappola
- di notte e di giorno
- e ogni volta rapinava figli miei.
- Così il loro numero è molto più basso
- di quanto era normalmente,
- che i quindici figli miei
- sono diminuiti fino a quattro;
- Renardo con la bocca feroce
- li ha divorati interamente.
- Ancora ieri, i cani hanno
- ripreso da lui, la nota Capa,
- qui sdraiata su questo feretro.
- Di questo mi lamento con Voi con grande dolore.
- Abbiate pietà di me, amato Signore.'
- Il re disse: 'Grimberto il tasso,
- suo zio, che era monaco di clausura,
- quanto ha digiunato per bene,
- se vivo un anno, se ne renderà conto.
- Senti qui, Cantachiaro,
- cosa dirne di più?
- Ormai sua figlia sta qui sdraiata uccisa.
- Che Dio si prenda cura della sua anima.
- Noi non la possiamo tenere più a lungo.
- - Che Dio la accolga! -
- Canteremo le nostre veglie funebri.
- Dopodiché seppelliremo
- il suo corpo con onore.
- Infine, con questi signori
- rifletteremo e discuteremo
- su come vendicare
- Renardo per questo omicidio.'
- Quando aveva pronunciato queste parole,
- ordinò ai giovani e agli anziani
- di andare a cantare le veglie.
- Quello che pregò, venne subito fatto.
- Si poteva sentir intonare
- e cominciare a squarciagola
- il padre nostro
- e i versi che ne fanno parte.
- L'avrei detto con parole autentiche,
- se non fosse durato troppo a lungo
- dire chi ha cantato i versi per l'anima
- e chi ha letto le preghiere della Bibbia.
- Quando le veglie erano finite,
- si posò Capa nella tomba,
- che era stata costruita con senso artistico,
- sotto il tiglio in un prato.
- Di marmo liscio era
- la lapide che ci giaceva sopra.
- L'iscrizione che si vedeva
- rivelava chi era stato sepolto
- dentro quella tomba.
- Le lettere sulla lapide
- sopra la tomba dicevano:
- 'Qui è stata sepolta Capa,
- che sapeva ruspare (33) così bene,
- e che Renardo, la volpe, uccise a morsi
- e il quale fu troppo crudele con la sua stirpe.'
- Adesso Capa giace sotto terra.
- Il re disse ai suoi vecchi (consiglieri)
- di riflettere su
- come meglio vendicare
- questo grande delitto.
- Quando erano giunti ad un giudizio
- consigliarono il re
- di pregarlo
- di venire a corte.
- Né svantaggi né vantaggi
- avrebbero potuto impedirgli di presentarsi al processo,
- inoltre avrebbe dovuto incaricare Bruno
- di portargli il messaggio con queste cose.
- Di tutto ciò il re si era subito deciso,
- quindi disse a Bruno, l'orso:
- Signor Bruno, di fronte a questi signori
- Le dico di consegnare questo messaggio.
- Le prego anche di essere in gamba,
- di stare attento agli inganni.
- Renardo è fello e malvagio;
- La lusingherà e Le mentirà.
- Quando può, La ingannerà
- con parole belle ma false.
- Quando può, La discrediterà.'
- 'Signore', disse, 'lasciate perdere i Vostri avvertimenti!'
- Che Dio mi possa maledire
- se Renardo getterà disonore su di me,
- glielo farò pagare caro
- cosicché ci rimetterà lui.
- Ora, non Vi preoccupate di me.'
- Adesso si congeda e andrà
- lì dove cadrà proprio male. (34)
- Ora Bruno sta in viaggio
- sdegnato profondamente
- e pensando sia una supposizione esagerata
- che qualcuno possa essere così malvagio
- e che Renardo possa screditarlo.
- Uscito dal bosco
- sta attraversando la zona selvaggia
- dove Renardo si era fatto
- molteplici sentieri tortuosi (35)
- talvolta che era uscito dalla selva
- per andare a caccia.
- Dall'altra parte della zone selvaggia
- si situava una montagna alta e distesa.
- Questa doveva
- attraversare Bruno
- per arrivare a Manpertuus.
- Renardo aveva diverse case,
- ma il castello Manpertuus
- era la migliore di tutte le sue fortezze.
- Si rifugiava sempre lì quando era
- preoccupato ed in pericolo.
- Adesso Bruno è finalmente
- arrivato a Manpertuus.
- Lì si accorse del portone,
- attraverso il quale Renardo usava lasciare il posto,
- poi si mise seduto sulla coda
- di fronte al muro della fortezza
- e disse: 'È a casa, Renardo?
- Sono Bruno, il messaggero del re,
- che ha giurato sul suo Dio (36),
- se lei non viene alla seduta di tribunale
- e se non la porto con me,
- per far valere la legge
- e di continuare a vivere in modo pacifico,
- di sottoporti al supplizio della ruota.
- Renardo, faccia quello che Le consiglio
- e venga con me a corte.'
- Tutto questo stava ascoltando Renardo,
- che stava sdraiato davanti al suo portone
- dove era solito giacere
- per il calore del sole.
- Alle parole che Bruno aveva pronunciato,
- lo riconobbe subito
- e scese giù
- nella parte più buia della sua fortezza,
- pensando a come
- orchestrare un piano
- per poter burlare
- Bruno, l'ingordo fello,
- senza perderci il proprio onore.
- Poi disse Renardo, dopo un lungo tempo (37):
- 'La ringrazio per il Suo buon consiglio,
- Signor Bruno, dolce amico.
- Le ha reso un pessimo servizio
- colui che La ha ordinato di intraprendere questo viaggio
- e che Le ha fatto attraversare
- questa montagna distesa.
- Sarei andata a corte,
- anche se non me l'avesse consigliato,
- mi sono rimpinzato
- smoderatamente
- con un nuovo cibo sconosciuto.
- Temo di non riuscire ad andarci,
- non posso né sedermi né stare in piedi;
- così eccessivamente sazio sono.'
- 'Renardo, ma cosa ha mangiato?'
- 'Signor Bruno, ho mangiato robaccia,
- un uomo povero, non è un conte,
- questo può notarlo a me.
- Noi, gente povera, dobbiamo mangiare,
- essendo privati, ciò che abbiamo mangiato con disgusto.
- Ottimi melari freschi
- ho una riserva enorme.
- Devo mangiare questi per necessità
- quando non riesco a procurarmi nient'altro.
- Nonostante che, dopo averli ingerito,
- mi causano dolori e disturbi.'
- Questo aveva sentito Bruno e disse:
- Aiuto, cara volpe Renardo,
- apprezza davvero così poco il miele?
- Il miele è un cibo dolce
- che tra tutti i piatti, lodo di più
- e lo preferisco sopra ogni altro piatto.
- Renardo, mi aiuti a trovarmelo.
- Nobile Renardo, caro cugino (38),
- per tutta il resto della vita,
- Le vorrò bene per questo.
- Renardo, mi aiuti a trovarmelo.'
- Trovarlo? Bruno mi sta prendendo in giro!'
- 'Non lo faccio, Renardo, se fossi stato matto,
- Le avrei preso in giro, io, mai.'
- Renardo disse: 'Bruno, ne gradirebbe un po'?
- Se le piace mangiare il miele,
- giuro, me lo faccia sapere.
- Se ne gradisce un po', la sazierò.
- Gliene procurerei talmente tanto che
- non lo mangereste nemmeno in dieci,
- se potessi guadagnare così il Suo affetto.'
- In dieci? Com'è possibile?
- Renardo, chiudi la bocca su questo
- e ne sia certo che
- se avesse tutto il miele
- tra qui ed il Portogallo,
- me lo mangerei tutto.'
- Renardo disse: 'Cosa dici?
- Un villano, di nome Lamfroit, che abita qui vicino,
- ha talmente tanto miele
- che non lo finirebbe in sette anni.
- Questo metterò alla Sua disposizione,
- Signor Bruno, se diventerà il mio complice
- e se difenderà me a corte.'
- Poi Bruno iniziò a crederlo
- e rassicurò Renardo che
- se l'avesse saziato con miele
- - che stenterebbe a finire -
- sarebbe stato ovunque
- il suo amico fedele e bravo compagno.
- Di questo rideva Renardo, il fellone,
- e disse: 'Bruno, noto eroe,
- che Dio mi dia
- un'altra opportunità,
- quando quel miele sarà Suo,
- fossero sette recipienti pieni.'
- Queste parole gli sono gradevoli,
- avevano fatto tanto piacere a Bruno.
- Mentre rideva a più non posso,
- Renardo pensò, stando lì:
- 'Bruno, se la fortuna sta dalla mia parte,
- entro oggi penso di lasciarLa lì
- dove il ridere Le passerà.'
- Dopo aver pensato questo, Renardo uscì
- e disse ad alta voce:
- 'Zio Bruno, compagno, benvenuto!
- Le cose stanno così, se vuole trarre qualche vantaggio,
- non possiamo trattenerci più a lungo qui.
- Mi segua, la conduco io.
- Ci teniamo a questi sentieri tortuosi.
- Ancora oggi si sazierà
- se tutto andrà secondo la mia volontà.
- Ancora oggi ne otterrà, senza dubbio,
- quanto ne potrai sopportare.'
- Renardo intendeva un sacco di botte:
- questo aveva progettato per lui.
- Bruno, quel poveraccio, non aveva capito
- le parole di Renardo,
- il quale gli stava insegnando come rubare il miele,
- che avrebbe (Bruno) pagato molto caro.
- Camminando chiacchierando,
- Renardo con il suo compagno Bruno,
- fino al recinto della casa di Lamfroit.
- Vuole sentir parlare di Lamfroit?
- Era, se è vero ciò che mi hanno raccontato,
- un falegname di fama,
- che al suo podere aveva fatto portare
- al suo podere una quercia,
- la quale voleva spaccare in due,
- perciò ci aveva conficcato due biette,
- come falegnami sono ancora soliti fare.
- La quercia era spalancata ampiamente.
- Di questo, Renardo era contentissimo.
- Ridendo disse a Bruno:
- 'Osserva qui quello che aveva desiderato ardentemente,
- Bruno, e bada bene.
- All'interno di questo stesso albero
- si trova eccessivamente tanto miele.
- Prova a metterne un po'
- nella Sua bocca e nel Suo stomaco.
- Ma dovrà autocontrollarsi:
- anche se va pazzo per i melari,
- mangi decentemente e con moderazione
- affinché non si senta male.
- Mi sentirei disonorato,
- dolce zio, se Le dovesse succedere qualcosa di brutto.
- Bruno disse: 'Renardo, non si preoccupi.
- Crede che io sia stupido?
- La moderazione conviene in ogni circostanza.' (39)
- 'Dice il vero.', disse Renardo,
- 'Perché sono preoccupato?
- Vada lì e si infili (nell'albero).
- Renardo pensò al suo successo
- e Bruno si fece ingannare a tal punto
- che ne infilò la testa fino ad oltre le orecchie
- e tutte e due le zampe anteriori.
- Renardo riuscì a staccare
- le due biette dalla quercia.
- Bruno, che prima lo stava lusingando così tanto,
- rimase catturato nell'albero.
- Così il cugino mise in difficoltà
- suo zio con tale ingegnosità che
- né con l'astuzia né con la forza
- si poteva liberare in nessun modo
- perché rimase bloccata la sua testa.
- Cosa consigliate a Bruno di fare?
- Il suo essere forte e coraggioso
- non gli sarà d'aiuto.
- Capì di essere stato ingannato
- e iniziò a ruggire e a sfuriare.
- Era afferrato così fortemente
- per il muso e per le zampe anteriori:
- tutte le sue forze erano sprecate.
- Temeva di non riuscire a liberarsi mai più.
- Renardo si era allontanato un po'
- e vidi arrivare Lamfroit
- che portava sulle spalle
- sia una scure da falegname che un'ascia affilata.
- Adesso potete sentire come Renardo
- iniziò a schernire suo zio:
- 'Zio Bruno, mangi pure da scoppiare!
- Ecco che arriva Lamfroit che Le porterà da bere.
- Chi ha mangiato, dovrà pure bere!'
- Dopo queste parole, Renardo
- ritornò al suo castello
- senza nemmeno congedarsi e Lamfroit
- notò subito l'orso.
- Appena si accorse che era rimasto bloccato,
- non rimase fermo più a lungo lì.
- Si affrettò verso
- il paese più vicino
- in cerca d'aiuto
- dove fece sapere a tutti
- che era rimasto bloccato un orso.
- Poi lo seguì un intero esercito:
- nel villaggio non restarono né uomini né donne.
- Per togliere la vita all'orso,
- correvano tutti quelli che potevano correre.
- Uno portò una scopa,
- uno un correggiato, un altro un rastrello,
- e un altro ancora arrivò con un palo,
- così come stavano al loro lavoro.
- Persino il prete aveva portato
- dalla chiesa un crocefisso,
- che il sagrestano gli lasciò malvolentieri.
- Il sagrestano portò un stendardo
- con cui trafiggere e colpire.
- La moglie del prete, la signora Julocca (40)
- arrivò con la sua conocchia
- con la quale stava filando.
- Davanti a tutti loro, arrivò di corsa
- Lamfroit con un'ascia tagliente.
- Anche se Bruno stava poco comodo,
- temette piuttosto un fallimento
- perciò rischiò il tutto per il tutto.
- Quando (Bruno) sentì questo trambusto,
- sobbalzò in tal modo che si strappò
- tutta la pelle dal suo viso.
- Malgrado ci fosse riuscito,
- con fatica e con sforzo a far uscire la testa (dall'albero),
- ci lasciò di sé
- un orecchio e tutte e due le guance.
- Dio non aveva mai creato un animale così orrendo.
- Come poteva essere ridotto peggio?
- Anche se aveva liberato la testa,
- prima che potesse tirarci fuori le zampe,
- ci lasciò tutti gli artigli
- e i suoi due guanti.
- In questo modo riuscì a liberarsi.
- Come poteva essere disonorato di più?
- Le zampe gli facevano talmente male
- che non poteva camminarci sopra.
- Il sangue gli scorreva davanti agli occhi
- così che non riusciva a vederci bene.
- Non osò né restare né scappare via.
- Dal sud, vedeva
- arrivare di corsa Lamfroit,
- dopo di lui, il signor prete,
- che stava correndo velocemente,
- poi il sagrestano con il stendardo,
- infine tutti i parrocchiani,
- gli anziani uniti ai giovani.
- Dopo di loro arrivò, appoggiandosi sul suo bastone,
- una (vecchietta) a cui, a causa della vecchiaia,
- era rimasto a malapena un solo dente.
- Chi vuole, faccia attenzione a questo:
- con chi subisce danni o perdite
- e sventurato,
- ce l'hanno tutti quanti.
- Questo ero chiarissimo per Bruno, il poveraccio.
- Tanti che stavano minacciando di spellarlo,
- si sarebbero tenuti buoni,
- se Bruno avesse potuto agire secondo il volere suo.
- Questo aveva luogo lungo un fiume,
- così che Bruno, l'animale più infelice di tutti,
- fu circondato da diversi villani.
- Poi vennero usate ben poche parole lì.
- Lo aspettavano grandi guai:
- l'uno lo colpì, l'altro trafisse,
- l'uno colpì, l'altro lanciò.
- Lamfroit fu il più crudele con lui.
- Uno si chiamava Lottram Piede Lungo.
- Portò un bastone dalla punta a di corno
- e lo trafiggeva in continuazione in direzione degli occhi.
- La signora Vulmaerte, a forza di bastonarlo,
- lo fece pisciare.
- Albequac e la signora Bava
- sdraiate alle zampe
- litigavano per un suo coglione.
- Ludmoer dal naso lungo
- portava una palla di piombo appesa ad un filo
- che oscillò davanti a lui.
- Ludolf dalle dita storte
- superò tutti quanti
- perché - dopo Lamfroit -
- era il più nobile di nascita.
- Hughetto dalle gambe storte
- era, come si sa bene, suo padre.
- Era nato a Abstale
- e era il figlio della signora Ogernen (41)
- che una volta rimetteva a nuovo candelieri.
- Altre donne e altri uomini,
- più di quanti riesco ad enumerare,
- facevano male a Bruno
- così che il sangue gli colava dalla pelle.
- Bruno si era ridotto così male
- perché tutti gli andavano pesantemente addosso.
- Il prete lo colpiva continuamente (42)
- con il crocefisso.
- Il sagrestano con lo stendardo
- gli andò drasticamente addosso.
- Allo stesso momento arrivò Lamfroit
- con un'ascia affilata
- e lo colpì tra il collo e la testa,
- Bruno, rimasto gravemente stordito,
- saltò di lato a causa del colpo
- fra il fiume e il cespuglio
- in mezzo ad un mucchio di vecchiette
- e buttò alcune di loro
- nel fiume che scorreva là,
- il quale era largo e profondo.
- Una di queste era la moglie del prete.
- Il prete non era molto contento di ciò.
- Quando vedeva sua moglie nel fiume
- non gli andava più
- di colpire Bruno.
- Gridò: 'Guardate, nobili parrocchiani,
- lì galleggia la signora Julocca
- insieme ai fusi ed alla conocchia.
- Avanti, che qualcuno la aiuti!
- Gli concedo un anno e un giorno
- di assoluzione e l'indulgenza
- per tutti i peccati.'
- Sia gli uomini che le donne
- lasciarono il povero disgraziato
- Bruno per morto
- e si affrettarono lì dove aveva ordinato il prete
- con fili e ganci.
- Mentre stavano tirando la donna fuori dall'acqua,
- Bruno si buttò nel fiume
- e nuotò il più presto possibile via da tutti loro.
- Tutti i villani erano arrabbiati:
- vedevano che Bruno stava nuotando via
- in modo che non lo potevano inseguire.
- Stavano sulla sponda indignati
- e iniziavano a insultarlo.
- Bruno stava nel fiume
- laddove la corrente era più forte.
- Galleggiando pregò Dio
- di maledire e condannare l'albero
- nel quale aveva perso l'orecchio
- e entrambe le guance.
- Poi imprecò contro quell'animale fellone,
- Renardo, la volpe malvagia,
- che gli aveva fatto infilare
- la sua barba bruna così profondamente nella quercia.
- Per questo poi Lamfroit, il padrone del palo delle torture (l'albero)
- l' aveva maltrattato gravemente.
- Bruno stava immerso in queste preghiere
- per così tanto tempo,
- che era galleggiato via
- per più di mezzo miglio dal posto
- dove erano rimasti i villani.
- Era stanco e sfinito,
- e talmente indebolito per la mancanza di sangue
- che stentò a proseguire.
- Poi nuotò in direzione della terra ferma
- dove si trascinò sulla sponda.
- Non avevate mai visto
- né un animale né un uomo così infelice.
- Stava lamentandosi e gemendo
- e ansimò in modo che entrambi i fianchi andavano su e giù.
- Tutto ciò, grazie a Renardo.
- Sentite ora cosa ha fatto Renardo!
- Aveva catturato una gallina grassa
- sul podere di Lamfroit
- prima di andarsene da lì.
- L'aveva portato in cima a una montagna,
- lontana da tutte le vie,
- dove stava sufficientemente in solitudine.
- Questo gli piaceva
- perché non passava nessuno per di là
- e lì nessuno lo avrebbe potuto costringere
- ad abbandonare la sua preda.
- Quando le ebbe tolto tutte le piume,
- la infilò nello stomaco,
- poi scese giù dalla montagna
- lungo un sentiero nascosto.
- Era eccessivamente sazio.
- Il tempo era bello e faceva caldo.
- Aveva corso e il sudore
- gli colava lungo le guance.
- Camminava accanto al fiume
- per rinfrescarsi.
- Per più di un motivo
- il suo cuore era pieno di gioia.
- Si aspettava, senza alcun dubbio, (43)
- che Lamfroit aveva abbattuto l'orso
- e che l'aveva portato a casa sua.
- Poi disse: 'Mi è andato bene.
- Chi m'avrebbe danneggiato maggiormente a corte,
- ho ucciso oggi stesso.
- Eppure, credo, senza alcuna accusa
- e senza alcun sospetto.
- Giustamente posso esprimere la mia gioia.
- Renardo diceva queste parole,
- guardando giù nella valle
- e notò Bruno sdraiato lì.
- Appena l'aveva visto,
- si rattristò e si arrabbiò.
- Perché la gioia di prima
- si era trasformato in collera e ira
- poi disse: 'Sia maledetto,
- Lamfroit, il tuo cuore!
- Sei più stupido di un maiale!
- Lamfroit, brutto figlio di puttana,
- ti appartiene poco onore.
- Come ti è potuto sfuggire questo orso,
- che prima era stato catturato?
- Quanti buoni pezzi ci stavano (all'orso)
- che tanti uomini avrebbero mangiato volentieri.
- Cavolo, Lamfroit, miserabile
- che pelle d'orso preziosa
- ti sei perso oggi,
- che prima avevi vinto!'
- Renardo smise con questi rimproveri
- e scese giù lungo il sentiero
- per vedere come stava Bruno.
- Quando lo vide tutto insanguinato,
- malato e malsano,
- il povero orso, in quel momento
- -questo piaceva tanto a Renardo -
- lo beffò per puro divertimento suo:
- 'Monsignore, prete, che Dio La salvi. (44)
- Conosce Renardo, il mascalzone?
- Se vuole ammirarlo, lo vede qui
- lo scalco malvagio rosso, il delinquente fellone.
- Mi dica, prete, dolce amico,
- per il Signore che serve,
- a quale ordine religioso appartiene,
- dato che porta un cappuccio rosso?
- Lei è abate oppure priore?
- Si è avvicinato troppo alle orecchie,
- colui che ti ha rasato la tonsura.
- Ha perso il cuoio capelluto.
- Ha tolto anche i guanti.
- Pensavo che volesse andare a cantare
- le Sue ultime preghiere della giornata.
- Questo sentiva Bruno e si sconsolava
- perché non poteva difendersi.
- Temeva di spezzarsi il cuore,
- allora si ributtò nel fiume.
- Le parole di quel animale fellone
- non voleva più sentire.
- Galleggiò
- secondo corrente
- e si sdraiò sulla sabbia.
- E adesso, come arriverà a corte Bruno?
- Anche se lo aiutasse il mondo intero,
- non camminerebbe sulle sue zampe.
- Era stato bloccato così bruscamente
- nella quercia che aveva appena perso
- di due zampe,
- tutti gli artigli e la pelle.
- Non riusciva a immaginarsi
- come meglio raggiungere il re.
- Sentite ora come intraprende questo viaggio.
- Seduto sulle chiappe
- iniziò, vergognandosi profondamente,
- a scivolare sulla coda.
- E quando si stancò di fare così,
- allora si rotolò per un po'.
- In questo modo proseguì per più di un miglio,
- prima di arrivare a corte.
- Quando videro arrivare
- da lontano Bruno in questo modo,
- alcuni di loro dubitarono
- cosa fosse che stava arrivando rotolandosi.
- Al re, che riconobbe subito Bruno,
- si strinse il cuore
- e disse: 'Questo è il mio sergente,
- Bruno. È sua, quella testa rossissima.
- È ferito a morte.
- Dio mio, chi l'ha deformato in questa maniera?
- Nel frattempo Bruno si era avvicinato
- sufficientemente per poter lamentarsi con il re.
- Si appoggiò ansimando forte
- e disse: 'Re nobile signore,
- vendicate per me in nome del Suo onore,
- Renardo, quel animale fellone,
- che con la sua astuzia mi ha fatto perdere
- le mie belle guance
- insieme alle mie orecchie
- e che mi ha ridotto così come vedete.'
- Il re disse: 'Se non vendico questo,
- che possa essere maledetto!'
- Dopodiché chiamò per nome
- i (nobili) più importanti
- e ordinò loro di riunirsi
- per la sua consultazione.
- Poi si consigliarono su
- come meglio punire questo delitto secondo l'onore del re.
- Infine i signori più distinti consigliarono
- che Renardo avrebbe dovuto essere convocato
- altre due volte, se il re era d'accordo,
- per sentire l'accusa e la difesa.
- Dissero anche che volevano che
- Tiberto, il gatto, portasse
- questo messaggio a Renardo.
- Nonostante sia debole, è furbo.
- Il re accettò questo consiglio.
- Poi disse il re: 'Signor Tiberto,
- se ne vada. Prima di tornare,
- faccia sì che Renardo viene con Lei.
- Alcuni di questi signori dicono che,
- nonostante Renardo sia fellone nei confronti degli altri animali,
- di Lei si fiderà
- quindi seguirà volentieri il Suo consiglio.
- Se non viene, farà una brutta fine.
- Lo si convocherà tre volte (45)
- per la vergogna dei suoi consanguinei.
- Se ne vada, Tiberto e gli dica questo.'
- 'O signore', disse Tiberto, 'sono
- una povera creatura, un piccolo animaletto.
- Il signor Bruno che era forte e spietato
- non è riuscito a tenere testa a Renardo.
- Io, come comincio?'
- Poi disse il re: 'Signor Tiberto,
- Lei è molto intelligente e colto
- nonostante non sia grosso.
- A volte combina di più colui che sa
- usare l'astuzia e i buoni consigli,
- di quanto riuscirebbe a fare uno forte.
- Vada, esegua il mio ordine.'
- Tiberto disse: 'Che Dio mi assista,
- che tutto vada per il meglio.
- Intraprenderò un viaggio
- che mi pesa tanto.
- Che Dio faccia sì che me la cavi.'
- Ora deve mettersi in viaggio
- Tiberto che è molto preoccupato e terrificato.
- Camminando lungo il sentiero,
- vide volare in lontananza
- un uccello San Martino (46).
- Allora Tiberto gioì e si rallegrò,
- gridò all'uccello San Martino:
- ora sorvolami alla mia destra.'
- L'uccello volò verso un cespuglio
- sul quale si voleva riposare
- passando Tiberto alla sinistra.
- Questo segno di scoraggiamento
- non piaceva proprio a Tiberto.
- Se avesse visto volare l'uccello
- alla sua destra,
- avrebbe pensato di essere fortunato.
- Allora aveva perso le speranze.
- Comunque sia, si fece coraggio
- e fingeva, come fanno tanti,
- di essere più forte di quanto era realmente.
- Così proseguì per la sua strada
- fino ad arrivare a Maupertuus.
- Trovò Renardo all'interno della sua casa,
- solo e sicuro di sé.
- Tiberto disse: 'Che la benedizione di Dio
- Le possa dare la buonasera.
- Il re minaccia la Sua vita,
- se non viene con me a corte.'
- Renardo disse: 'Tiberto, nobile eroe,
- cugino, è il benvenuto.
- Che Dio Le dia onore e prosperità.
- Su Dio, questo Le auguro volentieri!'
- Che prezzo hanno le belle parole di Renardo?
- Anche se la sua lingua dice belle cose,
- nel suo cuore è fellone.
- Di questo si renderà conto Tiberto
- ancora prima che queste rime vengano
- lette fino alla fine. E così
- disse Renardo: 'Cugino, vorrei che
- stasera alloggiasse da me,
- e domani all'alba partiamo
- per la corte senza chiacchiere.
- Tra tutti i miei parenti non c'è
- nessuno, Tiberto, di cui
- mi fido di più che di Lei.
- È venuto qui Bruno, il mangione.
- Mi si è dimostrato talmente malvagio
- e me lo sono immaginato così forte
- che neanche per mille marchi
- avrei azzardato a fare il viaggio con lui.
- Con lei lo farò
- domani all'alba.'
- Tiberto disse: 'C'è un piano migliore,
- mi sembra meglio
- partire per la corte ancora stasera
- piuttosto che aspettare fino a domani.
- La luna brilla sui campi,
- è chiaro come il giorno.
- Credo che nessuno abbia mai visto
- un momento migliore per intraprendere il nostro viaggio.
- 'No, caro cugino', disse Renardo,
- se qualcuno ci incontrasse di giorno,
- ci parlerebbe e ci saluterebbe,
- in ogni caso non ci farebbe del bene,
- se ci incontrasse di notte.
- Deve alloggiare da me stasera.'
- Tiberto disse: 'Cosa mangeremo,
- se dovessi restare qui?'
- 'Ci penso io a questo, caro cugino.
- Ho pochissimo cibo qui.
- Potrebbe mangiare, se volesse,
- un pezzo di un melario,
- è buonissimo.
- Cosa ha detto, non Le dispiace il miele?'
- Tiberto disse: 'Non mi interessa proprio.
- Renardo, non ha nient'altro a casa,
- se mi desse un topo bello grasso,
- Le sarei grato.'
- 'Dolce Tiberto, cosa ha detto?
- Un topo grasso', disse Renardo,
- 'Qui vicino abita un prete,
- accanto alla sua abitazione, c'è rimasta una rimessa
- piena di topi grassi.
- Credo che un carro non li possa portare,
- che tante volte ho sentito il prete lamentarsi
- che lo stavano cacciando fuori dalla propria casa.'
- 'Renardo, ci sono topi così grassi lì?
- Dio mio, magari fossi lì!'
- 'Tiberto', disse, 'dice la verità?
- Vuole topi?' 'Se li voglio?
- Renardo, non me ne parli!
- Adoro i topi più di ogni altra cosa.
- Non sa che i topi hanno un sapore
- migliore della selvaggina?
- Se soddisfa il mio desiderio
- e mi porta lì dove stanno,
- Le offrirò il mio aiuto
- anche se avesse ucciso
- mio padre insieme a tutta la mia stirpe.'
- Renardo disse: 'Cugino, mi sta prendendo in giro?'
- 'Io no, Renardo, che Dio mi assista!'
- 'Dio lo sa, se l'avessi saputo prima,
- ancora stasera si sarebbe saziato.'
- 'Saziato, Renardo? Questo è esagerato.'
- 'Tiberto, questo lo dice per scherzo.'
- 'Non lo faccio, Renardo, sulla mia parola.
- Se avessi un topo bello grasso,
- me ne fregherei di una moneta d'oro.'
- 'Tiberto, venga subito con me.
- Le porterò al posto
- dove La farò saziare
- prima non mi congederò da Lei.
- Si, Renardo, sotto la sua protezione
- andrei persino a Mompelier con Lei.'
- 'Allora, andiamocene, siamo qui
- già troppo a lungo', disse Renardo.
- Così si misero in viaggio.
- Tiberto e suo zio Renardo
- correvano dove volevano
- a tutta velocità,
- fino ad arrivare al magazzino del prete
- che era circondata
- con un muro di terra,
- nel quale si era introdotto Renardo
- il giorno precedente
- quando il prete aveva perso
- un gallo preso da lui.
- Di questo era arrabbiato e furioso
- il figlio del prete, Martino,
- allora aveva messo davanti all' apertura
- una trappola per catturare la volpe.
- Così tanto gli sarebbe piaciuto vendicare il gallo.
- Questo sapeva Renardo, quell'animale fellone,
- e disse: 'Cugino Tiberto, ecco,
- si infili in questa apertura.
- Non sia lento o pigro.
- Acchiappi intorno a Lei.
- Senta come squittiscono i topi!
- Torni qui quando è sazio.
- Io resterò qui davanti all'apertura,
- La aspetterò qui fuori.
- Stasera non ci dobbiamo dividere.
- Domani partiremo per la corte.
- Tiberto, non risparmiare neanche uno.
- Vada a mangiare, poi ritorniamo
- alla mia abitazione con onore.
- Mia moglie ci accoglierà volentieri.'
- Devo entrare in questa apertura?
- Cosa ha detto, Renardo, è questo il Suo consiglio?
- I preti conoscono tanti imbrogli,
- non mi piace attaccarli.'
- 'Ma perché, Tiberto, è così codardo?
- Come mai sta esitando ora?'
- Tiberto si vergognò e saltò
- lì dove trovò grandi guai,
- che prima di accorgersene, aveva
- un laccio stretto intorno al collo.
- Così Renardo aveva ingannato il suo ospite.
- Appena Tiberto si accorse
- del laccio, si mise paura
- e saltò in avanti. Il laccio si strinse.
- Tiberto strillando
- si strozzò a causa del nodo.
- Fece un urlo dal suono infelice
- fortissimo che Renardo
- lo sentì fino al sentiero
- dove stava da solo.
- Gridò: 'Ti piacciono quei topi,
- sono belli grassi, Tiberto?
- Se lo sapesse Martino,
- che Lei sta cenando
- mangiando questa selvaggina
- - non so come fa a digerirla -
- Le preparerebbe una saletta.
- Quanto è cortese quel ragazzo Martino!
- Tiberto, canta sempre meglio.
- Si è soliti fare così a corte?
- Dio mio onnipotente,
- magari fosse lì con Lei, Tiberto,
- Isengrimo, l'assassino,
- gioioso quanto Lei.'
- Renardo si divertiva
- grazie alla sfortuna di Tiberto.
- Tiberto urlò così forte
- che Martino si svegliò.
- Martino gridò: 'Ha ha, grazie a Dio!
- Ho messo la mia trappola al momento
- giusto: ci ho catturato, almeno credo,
- il ladro di galline.
- Avanti, facciamogli pagare caro il gallo!'
- In un attimo stava presso il fuoco
- e accese subito una fascia di paglia,
- svegliò la madre e il padre
- e tutti i bambini
- stillando: 'Avanti, è stato catturato!'
- Poi si poteva vedere mettersi in moto
- tutti quelli che stavano in quella casa.
- Persino il prete non voleva mancare
- e si alzò dal suo letto completamente nudo. (47)
- Martino aveva raggiunto
- Tiberto e gridò: 'Eccolo qui!'
- Il prete accese il fuoco
- e acchiappò la conocchia della moglie.
- La signora Julocca prese una candela funebre
- e l'accese al volo.
- Il prete si avvicinò a Tiberto
- e iniziò a colpirlo con la conocchia.
- Allora, Tiberto doveva incassare
- diversi colpi datigli l'uno dopo l'altro.
- Il prete stava, come si renderà conto,
- tutto nudo e colpiva senza tregua
- Tiberto che stava sdraiato davanti a lui.
- Nessuno di loro si risparmiava.
- Martino prese una pietra
- e la lanciò nell'occhio di Tiberto.
- Il prete, tutto macchiato di sangue,
- alzò la conocchia per dare il colpo di grazia.
- Quando Tiberto aveva capito
- che sarebbe morto,
- fece la parte dell'eroe coraggioso
- per la vergogna del prete.
- Entrambe con gli artigli e con i denti
- lo ferì, cosi sembrava,
- gli saltò addosso tra le gambe (48)
- nella borsa, quella senza cuciture,
- con la quale si fanno suonare le campane.
- Quella cosa cadde per terra.
- La moglie addolorata giurò,
- sull'anima di suo padre,
- che non avrebbe accettato
- le offerte dell'anno intero,
- se non fosse accaduto al prete
- questo dispiacere e questa vergogna.
- Disse così: 'In nome del diavolo dannato
- è stata messa questa trappola.
- Guarda, caro cugino Martino:
- questa era l'armatura di tuo padre.
- Guarda qui il mio danno e la mia vergogna
- d'ora in poi.
- Anche se le sue ferite guariscono,
- non avrà più voglia di giochi amorosi.
- Renardo stava ancora davanti all' apertura.
- Quando sentiva queste parole,
- scoppiò dalle risate che dal suo didietro
- uscì una scoreggia violenta.
- Poi disse con tono di scherno:
- 'Stia zitta, Julocca, cara signora,
- faccia passare il Suo lutto,
- faccia smettere il Suo dolore!
- Cosa importa se il Suo uomo ha perso
- uno dei suoi batocchi
- così dovrà fare meno fatica!
- La pianti con queste lamentele!
- Quando il prete guarisce, non è una vergogna
- se suonerà con una sola campana!'
- In questo modo Renardo consolò la signora Julocca
- che stava fuori di sé.
- Il prete non riuscì più
- a stare in piedi; svenne.
- Poi (Julocca) lo alzò con tutte le sue forze
- e lo portò dritto a letto.
- Nel frattempo Renardo stava ritornando
- da solo alla sua abitazione
- lasciando solo Tiberto gravemente ferito
- e in agonia.
- Anche se Tiberto era molto ansioso,
- quando vide tutti preoccupati
- del prete sdraiato lì
- ferito, si sforzò
- e con i suoi denti
- spezzò il filo a metà.
- Poi non volle rimanerci più nemmeno per un momento,
- così risaltò fuori dall'apertura
- e si recò verso la strada
- che portava dritto alla corte reale.
- Prima che arrivasse lì, faceva già giorno,
- il sole stava sorgendo.
- Come un povero disgraziato
- arrivò a corte Tiberto
- che aveva ottenuto dal prete
- qualcosa di cui si sarebbe lamentato ancora a lungo.
- Quando il re capiva
- che aveva perso un occhio,
- allora si poteva sentirlo
- minacciare tremendamente Renardo, il criminale.
- Il re non perdeva tempo,
- convocò i suoi baroni
- e chiese loro cosa avrebbe dovuto intraprendere
- contro il delitto di Renardo.
- C'erano tanti consigli
- su come richiamare Renardo all'ordine,
- che aveva commesso questo crimine.
- Poi disse Grimberto, il tasso,
- che era il figlio del fratello di Renardo:
- 'Voi signori, avete fatto diversi piani.
- Sebbene mio zio fosse due volte più malvagio di così,
- va applicato il diritto per i liberi,
- lo si convocherà per tre volte
- così come si è soliti fare con un uomo libero.
- Se poi non viene,
- allora si rende colpevole di tutto
- di cui, di fronte al re,
- è stato accusato da parte di questi signori.'
- Chi vuole, Grimberto, mandare a convocarlo?'
- disse il re, 'Chi qui presente
- vuole rischiare
- un occhio o una guancia
- per un animale fellone?
- Credo che nessuno qui sia così pazzo?'
- Grimberto disse: 'Che Dio mi assista.
- Eccomi, io sono abbastanza coraggioso
- che oserei portagli
- il messaggio, se Lei me lo ordinasse.'
- 'Grimberto, vada, sia
- intelligente e si guardi dalle disgrazie.'
- Grimberto disse: 'Lo farò.'
- Così Grimberto partì per Maupertus.
- Una volta arrivato, trovò a casa
- suo zio e la signora Hermelina
- che stavano sdraiati con i loro volpini
- nella tana.
- Appena Grimberto poteva,
- salutò suo zio e sua zia.
- Disse: 'Non La preoccupa
- l'incertezza in cui si trova?
- Crede non sia ancora arrivato il momento
- per recarsi, zio Renardo,
- a corte dove
- è stato accusato pesantemente?
- È stato convocato tre volte.
- Se perde la seduta di tribunale di domani,
- allora temo che non potrà più
- aspettarsi nessuna grazia.
- Fra tre giorni vedrà
- assalito il suo castello, Maupertus.
- Vedrà erigersi davanti alla sua casa
- un patibolo od una ruota (di tortura).
- In verità Le dico questo:
- entrambe i Suoi bambini e Sua moglie
- perderanno la vita
- in modo atroce, senza alcun dubbio.
- Lei non può sottrarsi.
- Perciò il consiglio migliore per Lei
- è quello di venire a corte con me.
- Non si può sapere mai come andrà a finire...
- Le sono successe spesso
- avventure più strane
- di (quanto sarebbe strano) se Lei - sbarazzato da tutte le loro accuse -
- con il permesso del re
- domani lasciasse la corte.
- Renardo disse: 'Dice la verità.
- Ma Grimberto, se vado lì
- tra i cortigiani,
- che troverò lì a corte,
- tutti si adireranno contro di me.
- Se potessi andare via da lì, sarebbe pura fortuna.
- Comunque sia, credo sia meglio
- - se me la cavo, me la cavo -
- di andare con Lei a corte
- prima di perdere tutto:
- castello, bambini e moglie
- oltre alla propria vita.
- Non posso sfuggire al re.
- Se lo vuole, allora ci vado.
- 'Senti', disse, 'moglie Hermelina, (49)
- ti affido i miei figli,
- prenditi cura di loro.
- Anzitutto ti raccomando
- mio figlio Renardino.
- Gli stanno così bene i baffetti
- sparsi sul suo musetto.
- Spero che mi assomiglierà.
- Ecco Rosselino, il bel ladro,
- che amo così tanto
- si, come chiunque i propri figli.
- Anche se devo andarmene di qui,
- farò il mio meglio
- per, se posso, sfuggire.
- Grimberto, cugino, che Dio La premi.'
- Con parole cortesi e belle
- Renardo si congedò dai suoi (familiari)
- e lasciò la sua corte.
- Ahimè, quanto erano tristi la signora Hermelina
- e i suoi piccoli volpini.
- Quando Renardo uscì da Maupertus
- lasciò dietro senza protezione
- il suo territorio e la sua casa.
- Sentite ora cosa ha fatto Renardo.
- Appena si trovò in mezzo ai campi,
- si rivolse a Grimberto dicendogli:
- 'Grimberto, bravo, carissimo cugino,
- sto sospirando e tremando dalle preoccupazioni.
- Caro cugino, vorrei
- - ascolti ora le mie ragioni -
- confessarmi con Lei (50):
- non c'è nessun prete nelle vicinanze.
- Essendomi confessato,
- comunque vadano le cose,
- la mia anima sarà purificata.'
- Dopodiché Grimberto disse:
- 'Zio, se vuole confessarsi,
- deve rinnegare da subito
- tutti i furti e tutte le rapine
- sennò non servirà a niente.'
- 'Lo so.', disse Renardo,
- 'Grimberto, mi ascolti ora
- e cerchi di consigliarmi.
- Vede, Le chiedo perdono
- per tutti i miei reati.
- Mi ascolti, Grimberto, e mi comprenda:
- confiteor pater, mater (51)
- che mi sono comportato male
- con il castoro e il gatto
- e con tutti gli animali.
- Di questo voglio purificarmi confessandomi.'
- Grimberto disse: 'Zio, parla francese?
- Per favore, mi parli in nederlandese
- affinché La possa capire.'
- Poi disse Renardo: 'Mi sono comportato male
- nei confronti di tutti gli animali viventi.
- Preghi Dio perché mi possa perdonare.
- Ho fatto sanguinare
- la testa a mio zio Bruno.
- Ho mandato a caccia di topi Tiberto,
- ma ha soltanto ottenuto bastonate
- a casa del prete, lì cadette in trappola.
- Ho fatto tanto male
- a Cantachiaro e i suoi figli,
- quando erano in più o in meno,
- spesso liberavo loro (dal peso della vita).
- Giustamente ha accusato la volpe.
- Nemmeno il re mi è sfuggito.
- Anche a lui ha procurato tanto dolore
- e ho discreditato la regina,
- ci vorrà tanto tempo prima che otterranno
- altrettanto onore da me.
- Ho anche, questo Le dico,
- Grimberto, ingannato più gente
- di quanto Le potrei dire.
- E Isengrimo, mi capisca, (52)
- chiamò zio per frode.
- L'ho fatto monaco a Elmare,
- dove ci eravamo ritirati.
- Per lui fu un atto di penitenza.
- L'appesi ai fili delle campane
- da entrambi i piedi.
- Gli piaceva così tanto suonare
- che lo voleva imparare a tutti i costi.
- Le cose finirono in modo disonorevole per lui
- perché suonò così esageratamente forte
- che tutti quelli che camminavano per strada
- e che si trovavano dentro (il monastero) di Elmare
- pensarono fosse il diavolo
- e si affrettarono verso dove sentivano suonare.
- Prima che potesse pronunciare
- le parole: 'Voglio entrare nell'ordine',
- gli avevano quasi tolto la vita.
- Poi gli feci dare la tonsura.
- Se lo ricorderà a vita,
- di questo sono sicuro.
- Gli feci bruciare i peli
- finché gli si raggrinzò il cuoio capelluto.
- Gli feci altri torti
- sul ghiaccio dove gli insegnai a pescare,
- lì non seppe sfuggirmi.
- Ricevette diversi colpi.
- Poi un giorno lo portai
- dal prete Vimbloys.
- In tutto il paese di Vermendoys
- non c'era un prete più ricco.
- Quello stesso prete aveva una rimessa
- dove ci stavano tanti prosciutti grassi
- di cui tante volte mi ero saziato.
- Sotto quella rimessa avevo
- fatto in segreto una buca.
- In quella fece infilare Isengrimo.
- Lì trovò una grande quantità di carne di vitellone
- e tanti prosciutti appesi.
- Di quella carne, ne fece passare
- attraverso la gola eccessivamente tanta.
- Quando pensò di uscire di nuovo fuori
- dalla buca senza alcun pericolo,
- la sua dannata pancia si era gonfiata
- talmente tanto che si pentì del suo bottino.
- Visto che c'era entrato affamato,
- non riuscì più ad uscirne fuori.
- Corsi, facendo tanta confusione,
- verso il villaggio e diedi l'allarme.
- senta come ho fatto:
- corsi dal prete che
- stava a tavola mangiando.
- Quel prete aveva un cappone,
- era il miglior gallo (53)
- che si potesse trovare in tutto il paese.
- Mangiava persino dalla mano.
- Presi questo (gallo) in bocca
- davanti al tavolo dove stava
- mentre il prete mi stava guardando.
- Poi gridò il prete: 'Prendilo, colpiscilo!
- Aiuto! Chi ha mai visto una cosa così incredibile?
- Guardate, la volpe è venuta da me
- derubandomi dentro casa mia.
- Mi aiuti Santo Spirito.
- Peggio per lui che è venuto qui!'
- Dal tavolo prese un coltello
- urtando il tavolo in modo
- che questo volava alto sopra di me
- per poi cadere per terra in mezzo alla stanza.
- Bestemmiò pesantemente e giurò
- strillando forte: 'Ti prenderò a schiaffi!'
- e mi perseguitò.
- Con il suo coltello alzato
- mi pressò fino a
- dove stava Isengrimo.
- Avevo quel gallo nella mia bocca,
- il quale era molto grande e pesante.
- Perciò lo dovetti lasciare lì,
- se mi piaceva o no.
- Poi gridò il prete: 'Ahimè, signor ladro,
- devi lasciare qui il tuo bottino!'
- Strillava ma io me ne stavo
- già andando verso dove volevo andare.
- Quando il prete voleva raccogliere
- il gallo, vide Isengrimo.
- Lo aspettavano grandi guai.
- Gli lanciò il coltello in un occhio.
- Sei uomini avevano seguito il prete,
- tutti avevano un grande bastone con sé.
- Appena si accorsero di Isengrimo,
- fecero un grande chiasso
- così che uscirono fuori tutti i vicini
- che discutevano accesamente sul fatto che
- nella rimessa del prete era stato catturato un lupo,
- che era rimasto bloccato
- con la pancia nella buca.
- Quando lo vennero a sapere i vicini,
- si affrettarono a vedere quel miracolo.
- Isengrimo venne bastonato
- finché non era più un gioco per lui,
- perché ricevette tantissimi
- colpi e lanci (di pietre) forti.
- Poi arrivarono i ragazzini del villaggio
- che lo bendarono.
- Era ridotto così male, doveva permetterglielo
- così forte lo colpivano e lo pestavano.
- Quando lo tirarono fuori dalla buca,
- dovette sopportare tanto dolore.
- Dopodiché gli appesero una pietra al collo
- e lo lasciarono ai cani
- abbaianti che gli diedero la caccia.
- Continuarono a dargli bastonate forti
- persino quando ero sfinito.
- Poi cadette giù sull'erbetta
- come se fosse morto come una pietra.
- Allora la gioia dei bambini fu grande.
- Ci fu una grande confusione lì.
- Lo alzarono, lo misero su una lettiga
- e lo portarono con grande baccano
- attraverso pietre e cespugli.
- Fuori dal villaggio, in un fossato
- rimase sdraiato per tutta la notte.
- Come se ne è andato, non lo so.
- Dopodiché mi giurò
- di rendermi omaggio per un anno intero.
- Questo l'avrebbe fatto a patto
- che lo saziassi di pollame.
- Così lo portai in un posto
- dove gli spiegai
- che due galline e un gallo
- in una grande casa lungo la strada
- stavano su una trave
- vicino ad una botola.
- Lì feci che Isengrimo insieme a me
- si arrampicasse sulla casa.
- Dissi di volerlo assicurare
- che se si fosse infilato nella botola,
- davanti ci avrebbe trovato
- galline grasse a suo piacere.
- Andò verso la botola sorridendo
- ma ansiosamente si infilò lì dentro
- e iniziò a tastare qua e là.
- Tastò e quando non ci trovava nulla,
- disse: 'Cugino, bisogna
- preoccuparsi qui, non trovo niente.'
- Dissi: 'Zio, ma cosa sta dicendo?
- Si infili un po' di più.
- Uno deve impegnarsi per ottenere qualcosa.
- Le ho già prese io, quelle (galline) che stavano davanti.'
- Allora si fece ingannare
- andando a cercare le galline troppo lontano.
- Vedevo di poter prenderlo in giro
- e lo schernii così che
- cadette da lì su per terra
- facendogli fare una brutta caduta
- che svegliò tutti quelli
- che stavano dormendo in quella casa.
- Quelli sdraiati vicino al fuoco, gridarono
- che qualcosa, non sapevano che cosa, era
- caduta attraverso la canna fumaria.
- Si alzarono e accesero la luce.
- Quando lo videro
- venne ferito quasi a morte.
- Gli ho recato più guai
- di quanto Le posso raccontare.
- Tuttavia, tra tutto quello che gli ho combinato,
- niente mi dispiace
- così tanto che averlo tradito
- con la signora Iswenda (54) , la sua bella moglie,
- che amava più della propria vita.
- Che Dio mi perdoni.
- Con lei ho fatto quello che avrei preferito (55)
- ancora fare che averlo già fatto.
- Grimberto disse: "Se vuole confessarsi
- sinceramente con me
- e liberarsi dai Suoi peccati,
- allora deve parlare apertamente.
- Non so dove Lei voglia arrivare:
- 'Mi sono comportato male con sua moglie'.
- Zio, non riesco a capire
- cosa vuole dire con queste parole."
- Renardo disse: "Cugino Grimberto,
- sarebbe stato gentile
- se avessi detto francamente:
- 'Sono andato a letto con mia zia'?
- Lei è un mio parente, si sarebbe
- imbarazzato se avessi detto tale volgarità.
- Grimberto, ora Le ho raccontato
- tutto ciò che riesco a ricordarmi.
- Mi consenta l'indulgenza, La prego
- e mi punisca come meglio crede."
- Grimberto era intelligente e saggio,
- spezzò un ramoscello da un cespuglio
- e gli diede quaranta colpi (56)
- per tutti i suoi peccati.
- Dopodiché, come avviso sincero,
- gli consigliò di fare il bravo,
- di vegliare, di leggere (le sue preghiere),
- di digiunare, di celebrare (le feste religiose),
- di portare sulla strada giusta
- tutti quelli che avrebbe visto fuori strada
- e di guadagnarsi il pane in modo
- onesto da allora in poi.
- Dopodiché gli fece giurare
- di rinnegare entrambe il rapinare e il rubare.
- Da allora Renardo avrebbe dovuto prendersi cura della sua anima
- secondo il consiglio di Grimberto.
- Partì per la corte con la speranza di essere graziato.
- Ora è finita la confessione.
- I signori si stanno recando
- verso la corte.
- Allora a destra della via retta (57)
- sul quale stavano camminando,
- ci stava un monastero delle suore nere,
- dove tante oche, tanti galli,
- tante galline e tanti capponi
- erano soliti girare fuori dal muro.
- Questo, lo sapeva la creatura fellone,
- l'inaffidabile Renardo
- e disse: 'La strada giusta porta attraverso
- quel giardino lì.'
- Con questo inganno
- condusse Grimberto lungo la rimessa,
- dove il pollame stava ruspando
- qua e là fuori dal muro.
- Renardo si accorse del pollame:
- I suoi occhi cominciavano a girarsi:
- lontano dagli altri ci stava un gallo
- che era bello grasso e giovane.
- Renardo l'assalì al volo
- così che le piume del gallo svolazzavano.
- Grimberto disse: 'Zio crede che io sia matto?
- Uomo maledetto, cosa pensa di fare?
- Per un galletto
- vuole ricadere in tutti quei grandi peccati
- di cui si è appena liberato, confessandosi?
- Di questo se ne pentirà!'
- Renardo disse. 'Davvero,
- me ne ero scordato, caro cugino.
- Preghi Dio perché me lo perdoni.
- Non succederà mai più.'
- Poi tornarono indietro
- attraverso un ponticello stretto.
- Quante volte Renardo guardava indietro
- verso dove stava il pollame.
- Non riuscì a controllarsi,
- dovetti seguire la sua natura.
- Se gli avessero tagliato la testa,
- sarebbe volato verso il pollame,
- in quanto possibile.
- Grimberto se ne era accorto del suo modo di fare
- e disse: 'Mangione impuro,
- come girano i Suoi occhi.'
- Renardo rispose: 'Fa male
- a disprezzare così il mio cuore
- e a disturbare le mie preghiere.
- Mi lasci pregare due padrenostri
- per le anime delle galline del monastero
- e per ottenere la grazia per le oche
- che ho tradito tante volte
- e che con astuzia avevo sottratto
- a quelle suore sante.
- Grimberto si arrabbiò, tuttavia, Renardo
- aveva sempre gli occhi girati indietro.
- Quando arrivavano sulla via retta,
- si rintristì.
- Renardo tremava dalla paura
- mentre si recavano verso la corte
- e quando si avvicinò alla corte,
- dove temeva di fare una brutta fine.
- Quando a corte avevano saputo che
- Renardo era arrivato a corte
- con Grimberto, il tasso,
- credo che non ci fosse nessuno,
- povero o che fosse di famiglia povera,
- che non volesse sporgere querela
- contro Renardo.
- Nonostante ciò, si fingeva audace
- anche se era difficile.
- Disse a Grimberto il tasso:
- 'Passiamo per la strada principale.'
- Renardo proseguì con questo atteggiamento
- e sicuro di sé
- come se fosse il figlio del re
- e come se non avesse fatto niente di male.
- Impavidamente si mise
- di fronte a Nobile, il re
- dicendogli: 'Dio, che ha
- creato ogni cosa, Vi dia, signore re,
- tanta felicità e onore.
- Vi saluto, re, ne ho il diritto.
- Nessun re ha mai avuto un servitore
- fedele nei suoi confronti
- come ero e sono tuttora io.
- Tante volte questo è risultato chiaro.
- Tuttavia, ad alcuni qui presenti
- piacerebbe privarmi
- del Vostro omaggio, credetemi.
- Mai Voi non lo fate. Che Dio Vi lodi!
- Non sarebbe consono alla corona
- credere troppo facilmente a quello che
- le dicono gli scaltri e i felloni.
- Comunque, mi lamento con Dio
- perché ce ne sono troppi nel nostro tempo,
- di scaltri che possono fare false accuse
- e che hanno guadagnato la benevolenza
- presso le corti potenti.
- Non si dovrebbe credere a loro.
- La loro malignità è innata
- e tormentano i buoni.
- Che Dio si vendichi sulla loro vita,
- dovrebbe dare loro per l'eternità
- quello si meritano.'
- Il re disse: 'Poh, Renardo!
- Poh, Renardo, malvagio impuro,
- quanto sa fare bene il bravo!
- Questo ora non La aiuterà un'acca.
- La smetta con le Sue belle parole.
- Non diventerò amico suo per Sue lusinghe.
- È vero, ma quanto mi ha servito bene
- con quella questione nella selva,
- quanto si è tenuto lì
- alla pace reale proclamata da me.'
- 'Poh, cosa non ho perso io!',
- disse Cantachiaro, che stava lì.
- Il re disse: 'Chiuda la bocca,
- signor Cantachiaro, mi lasci parlare,
- mi lasci fare i conti con i suoi tratti cattivi.
- Ah si, signor delinquente, Renardo,
- quanto Le sono caro e quanto mi stima
- l'ha fatto capire, senza affaticarsi,
- ai miei messaggeri:
- il poveraccio, Tiberto e il signor Bruno
- che ha ancora la testa insanguinata.
- Ora non La rimproverò;
- temo che la sua gola ci rimetterà
- ancora oggi, tra breve.'
- Nomine Patrum, Christum filye',
- disse Renardo, 'se il signor Bruno
- è stato picchiato e insultato.
- Fosse stato coraggioso, si sarebbe vendicato
- prima di scappare attraverso l'acqua.
- Dall'altra parte, Tiberto il gatto,
- che ho ricevuto e ospitato,
- se è andato a rubare
- dal prete, contro il mio consiglio,
- che lo ha maltrattato,
- per dio, se dovessi pagare io per questo
- allora potrei maledire il mio destino.
- 'Avanti', disse Renardo, 're leone,
- chi dubita del fatto che Voi potete fare
- di me quello che desiderate?
- Per quanto sia delicato il mio caso,
- mi potete vantaggiare o svantaggiare.
- Se mi volete bollire oppure friggere,
- impiccare oppure accecare,
- non Vi posso sfuggire.
- Tutti gli animali sono nel Vostro potere.
- Voi siete potente e io sono debole,
- il mio potere è piccolo, il Vostro grande.
- Per dio, anche se mi picchiaste a morte,
- sarebbe una vendetta misera.'
- Proprio quando stava pronunciando queste parole,
- si alzarono Belino, l'ariete
- e la sua pecora, che l'aveva accompagnato;
- lei era la signora Ha Wa.
- Belino disse: 'Veniamo avanti
- con le nostre accuse.'
- Si alzarono Bruno con i suoi parenti,
- Tiberto, il malvagio,
- Isengrimo, il suo amico,
- Forcondo, il cinghiale,
- il corvo, Tiecelino,
- Pancero, il castoro, anche Brunello,
- la lontra dalla pancia grassa,
- lo scoiattolo, lo signor Rossello,
- la donnola, la signora Fina,
- Cantachiaro e i suoi figli
- che sbattevano forte le ali
- e il furetto, Piccolo Bottino
- si unirono con loro.
- Tutti loro si misero pubblicamente
- di fronte al loro signore re
- e arrestarono Renardo.
- Allora iniziò l'arringa.
- Da nessuna parte si era mai sentito
- parlare meglio degli animali come allora lì
- tra Renardo e gli altri animali.
- Mi risulta difficile e faticoso
- ripetere tutto quello che venne detto lì
- perciò faccio un riassunto.
- Le migliori orazioni vennero tenute lì.
- Le accuse che gli animali esposero,
- vennero provate con buone testimonianze
- come bisognava fare.
- Il re spronò i baroni più importanti
- a emettere una sentenza sul caso di Renardo.
- Poi decisero di erigere
- un patibolo forte e stabile
- per impiccarci
- Renardo, l'uomo fellone.
- Ora è finito lo scherzo per Renardo.
- Dopo che Renardo fu condannato,
- si congedò Grimberto il tasso
- insieme ai parenti più stretti di Renardo,
- non potevano sopportarlo
- né potevano tollerarlo,
- che avrebbero, davanti ai loro occhi,
- impiccato Renardo come un delinquente.
- Anche se alcuni di loro erano d'accordo.
- Il re, era molto saggio,
- quando si accorgeva e capiva
- che così tanti giovani
- stavano lasciando la corte con Grimberto
- che erano parenti stretti,
- pensò fra sé e sé:
- Qui bisogna subito prendere in considerazione un'altra soluzione.
- Anche se Renardo stesso è malvagio,
- ha tanti parenti importanti.'
- Poi disse: 'Perché siete lenti,
- Isengrimo e signor Bruno?
- Renardo conosce tante vie d'uscite
- e si sta facendo sera.
- Renardo sta qui, ma se sapesse
- scappare via per solo tre piedi dal pericolo,
- - è astutissimo,
- e conosce tante insidie -
- non verrebbe più catturato entro l'anno.
- Se deve venir impiccato, perché non lo si fa?
- Prima che venga eretta
- un patibolo, si fa notte.
- Isengrimo aveva un'idea
- e disse: 'Ci sta un patibolo qui vicino.'
- E dopo aver detto queste parole, sospirò.
- Poi disse il gatto, signor Tiberto:
- 'signor Isengrimo, Le piange
- il cuore, la capisco.
- Eppure, è stato Renardo a ideare tutto
- e ad andare lui stesso.
- lì dove hanno impiccato i Suoi due fratelli,
- Stomacone e Pancione. (58)
- È ora di ringraziarlo.
- Se fosse stato più in vita.'
- Isengrimo disse a Tiberto:
- 'Cosa non ci sta dicendo.
- Se avessimo avuto un cappio,
- già tanto tempo fa, il suo collo
- avrebbe già saputo quando pesa il suo sedere.
- Renardo, che rimasto a lungo in silenzio,
- disse: 'Voi signori, abbreviate la mia sofferenza.
- Tiberto possiede una corda forte
- che ha razziato intorno al suo collo
- quando è stato nei guai
- nella casa dove ha morso il prete
- che stava di fronte a lui senza alcun indumento addosso.
- Signor Isengrimo, si prepari.
- Siete i prediletti, Lei
- e anche Lei, Bruno, per uccidere
- il vostro cugino Renardo, il fellone rosso!'
- Dopodiché disse il re:
- Fatevi accompagnare da Tiberto.
- Lui sa arrampicarsi e può portare su
- la corda senza che Lei faccia fatica.
- Tiberto, va avanti e faccia i preparativi.
- Mi affligge vederLa lento.'
- Poi disse Isengrimo a Bruno:
- 'Per la tonsura
- che sta sulla mia testa,
- non avevo mai sentito un consiglio tanto buono
- quanto quello dato qui da Renardo stesso.
- Desidera fare una brutta fine (59)
- Adesso andiamo a dargliela!'
- Bruno disse: 'Cugino Tiberto, prenda
- la corda! Lei verrà con noi.
- Ora Renardo pagherà caro
- le mie belle guance e i Suoi occhi.
- Andiamo a impiccarlo così tanto in alto
- affinché si vergognino tutti i suoi amici.'
- 'Andiamo, l'ha proprio meritato.',
- disse Tiberto e prese la corda.
- Non aveva mai fatto uno sforzo così volentieri.
- Allora erano pronti i tre signori.
- Erano il lupo, Tiberto
- e il signor Bruno, che aveva imparato
- come rubare il miele facendosi male.
- Isengrimo era così deciso
- che prima di andare via dalla corte,
- non voleva lasciarla,
- raccomandò le sue cugine e i suoi cugini
- e tutti quelli che sarebbero rimasti a corte,
- sia i vicini che gli ospiti,
- di tenere forte Renardo.
- Alla signora Hersinta, sua moglie
- ordinò, di restare, anche a costo della sua vita, (60)
- con Renardo,
- di prenderlo per la barba
- e di non separarsi da lui,
- né per regali, né per soldi,
- né per desiderio, né per necessità,
- né per paura di morire.
- Renardo rispose con parole pungenti
- così che lo sentirono tutti lì presenti:
- 'Signor Isengrimo, questo è mezza grazia!
- Anche se la Sua cara è la mia rovina
- e anche se la mia rovina Le è cara,
- sono sicuro che se mia zia
- ripensasse bene a certe vecchie azioni,
- non mi farebbe mai del male.
- Ma signor Isengrimo, dolce zio,
- Lei non si prende cura di suo cugino.
- E signor Bruno e signor Tiberto,
- voi mi avete così disonorato1
- Voi tre avete fatto di tutto
- per farmi togliere la vita.
- Inoltre avete fatto sì
- che tutti quelli che mi si avvicinano
- mi danno del delinquente e mi odiano.
- Per questo dovrete, Dio lo sa bene,
- essere maledetti tutti e tre.
- Sbrigatevi a far succedere
- quello che desiderate fare.
- Il mio cuore è abbastanza coraggioso,
- una volta dovrò pure affrontare la morte.
- Che quando è morto mio padre
- era liberato dai suoi peccati?
- Andate a preparare il patibolo,
- o non mi risparmiate un momento più a lungo
- oppure andate all'inferno
- con i vostri piedi e le vostre gambe.
- Poi disse Isengrimo: 'Amen.'
- Amen.', disse Bruno , 'E lì
- deve andare colui che aspetta più a lungo.
- Tiberto disse: 'Sbrighiamoci.'
- Così saltarono via
- correndo allegramente,
- si impegnarono in una sfida
- saltando diversi recinti
- Isengrimo e il signor Bruno.
- Tiberto li seguì da vicino,
- aveva il piede un po'pesante
- a causa della corda che stava portando.
- Tuttavia era abbastanza veloce.
- Questo grazie al suo buon umore.
- Renardo stava lì in silenzio
- e vide correre via i suoi nemici
- che volevano mettergli il cappio.
- 'Ma questo non succederà.', disse Renardo
- che stava a guardare
- come saltavano e come si voltavano.
- Pensò: 'Deus, che signorini!
- Ora li lascio saltare e correre.
- Se sopravvivo, pagheranno caro
- i loro crimini e la loro calunnia,
- se non mi mancherà l'astuzia da Renardo.
- Tuttavia, è meglio che stiano
- lontani che vicini
- quelli che temo di più.
- Ora voglio cercare di
- eseguire a corte un'astuzia
- che prima dell'alba,
- durante la notte, ho ideato con tanti grattacapi.
- Se la mia astuzia è potente
- quanto spero sia ancora,
- nonostante sia astuto e saggio,
- credo di poter ingannare anche il re.'
- Il re fece suonare il corno
- e ordinò di condurre fuori Renardo.
- Renardo disse: 'Prima fate preparare
- il patibolo al quale verrò impiccato,
- nel frattempo ammetterò la mia colpevolezza
- di fronte al popolo
- affinché mi possano perdonare i miei peccati.
- È meglio che il popolo conosca
- i miei crimini e i miei misfatti
- affinché non accusino più tardi un altro uomo
- dei miei delitti.'
- Il re disse: 'Allora dillo!'
- Renardo stava lì come un uomo triste
- e guardava tutto intorno a sé.
- Poi disse pubblicamente:
- Aiuto!', disse, 'Dominus!
- A questa corte non c'è più nessuno
- né amici né nemici a cui
- non abbia fatto più o meno un torto.
- Tuttavia sentitemi tutti, voi signori.
- Lasciatemi spiegare e farvi capire
- come io, Renardo, il miserabile,
- iniziai per la prima volta con queste malvagità.
- Sono sempre stato
- un bambino cortese.
- Dopo che mi avevano svezzato dal seno materno,
- andavo a giocare con gli agnelli
- per sentire i loro belato
- finché ne uccisi a morsi uno.
- Per la prima volta leccai sangue:
- mi piaceva così tanto, era buonissimo,
- che assaggiai anche la carne.
- Lì ho imparato le delizie,
- per questo andavo dalle capre
- nel bosco dove le sentivo belare.
- Lì uccisi a morsi due capretti.
- Così feci anche il terzo giorno,
- ero diventato più brutale e coraggioso
- e uccisi a morsi galli, galline
- e oche ovunque li trovassi.
- Appena sentivo il sapore di sangue in bocca
- diventai così fellone e crudele
- che uccidevo a morsi
- tutto quello che trovavo e che ritenevo
- buono e domabile.
- Dopodiché mi incontrai con Isengrimo
- durante un inverno molto duro,
- a Bersele (61) sotto ad un albero.
- Aveva calcolato di essere mio zio
- e iniziò a contare i legami familiari.
- Lì diventammo alleati.
- Giustamente mi pento di questo.
- Lì giurammo reciprocamente fedeltà
- e amicizia sincera.
- Poi cominciammo a girare insieme.
- Lui rubava le roba grossa e io quella piccola.
- Quello che avevamo catturato diventava collettivo.
- E quando dovevamo dividere le parti,
- io ero compiaciuto e allegro,
- mi dava soltanto la metà della mia parte.
- Quando Isengrimo catturava un vitello,
- un montone castrato oppure un ariete,
- ringhiava e si arrabbiava così tanto
- e mi mostrava un'espressione
- così imbronciata e malvagia
- da farmi scappare via da lui,
- così che tutta la mia parte restava a lui.
- Eppure non mi importava tantissimo.
- Tantissime volte mi è capitato
- che quando catturavamo una preda grossa
- a cui io e mio zio avevamo dato la caccia,
- un bue o un maiale,
- si metteva comodamente seduto
- con sua moglie, la signora Hersinta
- e con i suoi figli.
- Quindi potevo avere appena
- una delle costole più piccole
- al quale avevano già rosicchiato i suoi figli.
- Così difficilmente ottenevo il mio bottino.
- Eppure, non lo trovavo gravissimo.
- Se non fosse che provavo
- un affetto così grande per mio zio,
- che tiene così poco a me,
- avrei guadagnato da mangiare, eccome.
- Re, questo lo dovete sapere.
- Ho ancora tanto argento e tanto oro
- di cui dispongo liberamente,
- così tanto che a malapena un carro
- lo potrebbe trasportare in sette volte!'
- Quando il re sentì questo,
- diede a Renardo una risposta dal tono acceso:
- 'Renardo, come ha ottenuto questo tesoro?'
- Renardo rispose: 'Vi dico
- quello che so e che volete sapere,
- per niente al mondo
- Vi rimarrà segreto.
- Re, quel tesoro è stato rubato.
- Se non fosse stato rubato,
- allora un attentato sarebbe stato commesso
- sulla Vostra vita, sulla mia parola,
- che tutti i Vostri seguaci avrebbero rimpianto.
- La regina era ansiosa
- e disse: 'Ahimè, caro Renardo, ahimè,
- ahimè, Renardo, ahimè, ahimè,
- ahimè, Renardo, cosa sta dicendo?
- La prego, per il viaggio
- che farà la sua anima,
- di dirci ora, Renardo,
- di dirci tutta la verità
- chiaramente e di svelare
- se è a conoscenza di qualche omicidio
- o di un complotto
- contro mio marito.
- Faccia sentire questo pubblicamente.'
- Sentite ora come Renardo ingannerà
- il re e la regina,
- come otterrà ingegnosamente
- l'amicizia del re e il suo omaggio
- e come, senza che abbiano alcuna colpa,
- farà cadere in miseria
- entrambi Bruno e Isengrimo
- mettendoli contro il re
- e nella sua disgrazia.
- I signori, che erano così fieri
- perché pensavano di fargli
- fare una brutta figura.
- Credo davvero
- che da parte sua preparerà un boccone amore
- che mangeranno per la loro vergogna.
- Con un'espressione triste
- disse Renardo: 'Nobile regina,
- sebbene ora non me l'aveste chiesto,
- sono uno che crede di morire,
- non avrei potuto appesantire la mia anima
- perché se lo facessi,
- mi spetterebbe l'inferno
- dove c'è tormento e dolore!
- Se ora il re vuole
- che si faccia silenzio,
- dirò con il Vostro permesso
- come un'orribile tentato omicidio
- era stato tramato dalle Vostre seguaci.
- Tuttavia, i cospiratori più importanti
- sono alcuni dei miei parenti più cari,
- che non avrei mai accusato
- se non avessi avuto paura dell'inferno
- dove, si dice, vengono tormentati
- coloro che sanno di un omicidio
- ma che non lo svelano prima di morire.'
- Era duro per il re
- che disse: 'Renardo, mi sta dicendo la verità?
- 'La verità?', disse Renardo, 'Me lo chiedete?'
- Non conoscete la mia situazione?
- Non credete, nobile re,
- nonostante sia un miserabile,
- che io possa permettere un tale assassinio.
- Credete che io voglia portare con me
- una menzogna nel mio lungo viaggio?
- Sulla mia parola, certo che no!', disse Renardo.
- Su insistenza della regina,
- che temeva il peggio per il re,
- il re ordinò chiaramente
- che lì a nessuno era consentito essere così coraggioso
- da dire neanche una parola
- finché Renardo avrebbe detto
- indisturbato tutto quello che voleva.
- Poi restarono tutti in silenzio.
- Il re ordinò a Renardo di parlare.
- Renardo era pieno di stratagemmi felloni,
- pensava che la sorte gli fosse favorevole.
- Disse: 'Tacete tutti,
- dato che lo desidera il re!
- Vi enumererò a memoria
- i cospiratori chiaramente
- senza risparmiare nessuno
- che sento di dover accusare.
- Chi è colpevole dovrà vergognarsi.
- Ora sentite tutti
- come Renardo mentirà accusando di alto tradimento
- proprio padre carnale
- e uno dei suoi parenti più cari:
- cioè Grimberto il tasso,
- che gli stava molto al cuore.
- Renardo aveva fatto questo
- perché voleva
- che si fosse creduto prima
- a quello che avrebbe detto su i suoi nemici,
- quando avrebbe voluto fare delle accuse.
- Sentite ora come iniziò!
- Renardo disse: 'Un giorno
- il signore mio padre trovò
- il tesoro del re Ermanarico
- in un posto nascosto.
- Dopo aver scoperto
- il tesoro, diventò ben presto
- molto presuntuoso e molto orgoglioso
- e disprezzò tutti gli animali
- che prima erano stati i suoi alleati.
- Mandò Tiberto il gatto
- alle Ardenne, quella zona selvaggia, (62)
- dove trovò Bruno l'orso.
- (Il padre di Renardo) chiese l'affetto di Dio l'onnipotente
- e che (Bruno) sarebbe venuto nelle Fiandre
- per governarci come re.
- Bruno si rallegrò per questo:
- l'aveva bramato da tanto tempo.
- Così si recò verso le Fiandre
- e arrivò nel dolce Waasland,
- dove trovò mio padre.
- Mio padre chiamò Grimberto il saggio,
- e Isengrimo il grigio,
- Tiberto il gatto era il quinto
- e andarono ad un paese di nome Hijfte.
- Tra Hijfte e Ghent
- si riunirono
- durante una notte buia.
- Erano arrivati lì grazie ad un potere diabolico
- e sull'insistenza del diavolo
- per giurare in quei campi selvaggi
- tutti e cinque la morte del re.
- Ora sentirete cose incredibili!
- Concordarono inoltre:
- se qualcuno dei parenti del re
- si fosse opposto, mio padre
- con il suo argento e il suo oro
- glielo avrebbe reso impossibile
- in modo che sarebbe stato discreditato.
- Vi dirò come l'ho saputo
- una mattina molto presto
- capitò che mio cugino il tasso,
- che era un po' ubriaco dal vino,
- si confidò in segreto
- con mia moglie, la signora Hermelina,
- Le raccontò tutto in dettaglio
- mentre camminavano nei campi.
- Mia moglie è una donna speciale
- e promise sulla sua parola a Grimberto
- che sarebbe rimasto segreto.
- Appena arrivò nella selva
- dove stavo io e mi trovò,
- me lo raccontò subito
- con molta prudenza però.
- Visto che diede anche certe prove
- sapevo che era vero,
- perciò tutti i miei peli
- si raddrizzarono dal terrore.
- Il mio cuore diventò
- veramente tutto freddo come il ghiaccio.
- Questo è sicuro!
- Prima tutti i rospi erano liberi
- eppure si lamentavano
- perché erano privi di dominazione.
- Si erano radunati
- e gracidavano forte a Dio
- affinché consegnasse loro, grazie alla Sua onnipotenza
- un re che li avrebbe governati.
- Questo pregavano gli anziani e i giovani
- gracidando a squarciagola.
- Un giorno quell'anno
- Dio ascoltò i rospi
- e mandò loro come re una cicogna,
- che li uccise a morsi e li divorò
- in tutti i paesi dove li trovò
- sia nell'acqua che nei campi
- dove li trovò alla sua portata.
- Non aveva mai pietà di loro.
- Poi rimpiansero, ma ero troppo tardi.
- Era troppo tardi, vi dico perché:
- coloro che prima erano liberi,
- rimarranno, senza possibile cambiamento.
- per sempre proprietà sua
- e vivranno per l'eternità in pericolo
- del re cicogna!
- Voi signori, poveri e ricchi,
- temevo che qualcosa di simile
- vi sarebbe successo.
- Ho salvaguardato tutti noi.
- Ho preso cura di voi
- che ora mi ringraziate ben poco!
- Conosco Bruno come falso e malvagio
- e capace di qualsiasi delitto.
- Pensavo: se lui diventasse il nostro signore
- - questo temevo tanto -
- allora saremo tutti perduti.
- Conosco il re come molto nobile di nascita,
- gentile, disponibile
- e clemente con tutti gli animali.
- Mi sembrava in ogni caso
- una cattiva sostituzione
- che non ci avrebbe portato
- né onore né vantaggi.
- Per questo riflettevo e cercavo una soluzione.
- Il mio cuore era molto preoccupato
- per come un'impresa così grave
- sarebbe potuta essere impedita e per come avrei potuto sventare
- il piano malvagio di mio padre
- che credeva di fare un re e un signore
- di un villano, di un mangione.
- Pregavo sempre Dio chiedendogli
- salvare l'onore mondano
- del re, il mio signore!
- Perché sapevo bene
- che se mio padre tenesse il suo tesoro
- avrebbero eseguito il piano
- lui e i suoi alleati,
- e il re sarebbe stato ripudiato.
- Spesso ero immerso
- in grandi pensieri profondi
- su come avrei potuto trovare dove
- stava il tesoro che aveva trovato mio padre.
- Temevo in continuazione d'occhio
- mio padre spiandolo
- nei tanti boschi e nei tanti cespugli,
- entrambi nei campi e nelle selve,
- dove mio padre, quel vecchio furbo,
- girava e camminava.
- Sull'asciutto, nella palude,
- di notte e di giorno
- lo tenevo sempre d'occhio.
- Di giorno e di notte
- facevo sempre la guardia.
- Un giorno succedette
- di coprirmi con felci verdi
- e mi sdraiai per terra
- perché avrei voluto trovare qualcosa
- di quel tesoro desiderato ardentemente.
- Poi vidi mio padre
- uscire fuori da una caverna.
- Pensò subito al tesoro
- per la furbizia con la quale (mio padre) agiva
- mentre lo stavo guardando, se ve lo posso dire.
- Che fosse uscito da quella caverna,
- lo vidi e mi accorsi
- che si guardava intorno per controllare
- se c'era qualcuno con lui.
- Quando non vide nessuno,
- salutò il bel giorno
- e riempì la caverna con sabbia
- spianandola con il terreno.
- Che avessi visto questo, non lo sapeva.
- Poi vidi che prima di andarsene da lì
- trascinò la coda (63)
- dove erano stati i suoi piedi
- per coprire con la terra le sue tracce.
- Lì imparò dal vecchio saggio
- una piccola astuzia ingegnosa
- che prima non conoscevo.
- Alla fine mio padre se ne andò
- verso il paese, dove si trovano
- i galli e le galline grasse.
- Appena osai farmi vedere,
- sobbalzai e corsi verso la caverna.
- Non volli stare più a lungo nell'incertezza
- e in un attimo la raggiunsi.
- Grattai via subito la sabbia
- con i piedi e mi infilai.
- Lì trovai il grande bottino!
- Li trovai argento e oro.
- Mai nessuno, per quanto anziano sia,
- ne aveva visto così tanto insieme.
- Poi non mi risparmiai né una notte né un giorno
- e andai a trascinare e a trasportare
- senza carro e senza carriola
- di giorno e di notte
- con tutte le mie forze.
- Mi aiutò mia moglie, la signora Hermelina.
- Ci costò molta fatica
- prima di aver spostato l'immenso bottino
- ad un'altra caverna,
- lì stava meglio alla nostra disposizione.
- Lo portammo sotto ad un cespuglio
- dentro una caverna nascosta.
- Finalmente il tesoro era mio!
- Ora sentite cosa fecero nel frattempo
- quelli che avevano tradito il re.
- Bruno l'orso mandò
- in segreto ovunque le sue lettere
- nelle quali promise
- grande ricchezza a tutti quelli
- che avrebbero servito per una paga.
- Promise loro di dare
- generosamente argento e oro.
- Mio padre attraversò tutto il paese
- sventolando la bandiera di Bruno.
- Non sapeva minimamente che animali
- avessero scoperto il suo tesoro
- e che l'avessero portato via.
- Se questo tesoro non fosse stato tolto
- avrebbero potuto comprare
- l'intera città di Londra.
- Questo aveva guadagnato con il suo andirivieni!
- Quando mio padre aveva girato e rigirato
- per i tutti paesi
- tra l'Elba e la Somme (64a),
- dove aveva reclutato con il suo oro
- diversi mercenari coraggiosi
- che lo avrebbero aiutato.
- Quando stava arrivando l'estate nel paese
- mio padre ritornò per incontrarsi
- con Bruno e i suoi alleati.
- Poi raccontò loro della sua grande sofferenza
- e delle molteplici preoccupazioni
- che aveva sopportato presso i borghi potenti
- della Sassonia
- dove i cacciatori passavano
- ogni giorno con i loro cani,
- che gli avevano messo paura diverse volte.
- Lo raccontava alla leggera.
- Dopodiché mio padre mostrò
- delle lettere che piacquero a Bruno,
- vi erano scritti ben mille duecento nomi
- appartenenti alla stirpe del signor Isengrimo.
- tutti dagli artigli affilati e dai musi grossi
- oltre ai gatti e agli orsi
- che stavano al servizio di Bruno,
- e le volpi insieme ai tassi
- della Turingia e della Sassonia.
- Tutti questi avevano giurato che,
- se avessero loro pagato in anticipo
- la paga di venti giorni,
- di si sarebbero messi con tutte le loro forze
- al servizio di Bruno.
- Tutto questo evitai, grazie a Dio!
- Quando mio padre aveva portato a termine
- il suo compito, voleva andare
- a vedere il suo tesoro.
- Quando arrivò al posto in questione
- che aveva lasciato prima,
- il tesoro era già scomparso
- e la sua caverna era stata aperta.
- Cosa bisogna dire di più?
- Appena mio padre se ne accorse,
- diventò infelice e arrabbiato
- e si spense dall'amarezza.
- Così non ebbe più luogo il piano di Bruno,
- ciò grazie alla mia abilità.
- Notate la mia sfortuna ora qui:
- il signor Isengrimo e Bruno il mangione
- godono ora qui chiaramente
- la piena fiducia del re
- e il povero Renardo è il capro espiatorio.'
- Il re e la regina,
- che entrambi speravano di guadagnarci,
- condussero Renardo fuori dal consiglio
- per pregarlo di essere così buono
- da indicare loro il suo tesoro,
- quando Renardo sentì questo
- disse. 'Dovrei indicare il mio bene a Voi,
- signore re, che mi fate impiccare?
- Allora sarei fuori di testa...!
- No, Renardo', disse la regina,
- 'mio signore La lascerà in vita
- e gentilmente Le perdonerà
- tutto per cui si è arrabbiato
- se d'ora in poi sarà più saggio,
- più buono e più affidabile.'
- Renardo disse: 'Lo sarò, signora,
- se il re mi promette solennemente
- ora qui davanti a Voi,
- di concedermi il suo omaggio
- e di voler perdonarmi
- tutte le mie colpe, per questo
- voglio indicare
- al re dove sta il tesoro.'
- Il re disse: 'Sarei stupido
- se volessi credere a Renardo.
- Il rubare, il rapinare
- e il mentire ce li ha nel sangue.'
- La regina disse : 'Signore, no.
- Potete credere a Renardo!
- Anche se prima era fellone,
- ora non è più quello che era.
- Avete sentito come ha accusato
- il tasso e suo padre
- di omicidio, il quale avrebbe potuto
- addebitare ad altri animali,
- se avesse voluto continuare ad essere malvagio,
- fellone o inaffidabile.'
- Poi disse il re: 'Gentile signora,
- anche se credo che mi danneggerà,
- se Voi osate consigliarmelo,
- allora voglio, sulla base della Vostra fiducia,
- accettare questa condizione e questo patto
- ponendo fiducia in Renardo.
- Però in verità gli dico:
- Se commette altri misfatti,
- tutti quelli che gli sono imparentati
- fino al decimo grado, pagheranno caro.'
- Renardo si rese conto che il re c'era cascato,
- si rallegrò dentro di sé
- e disse: 'Signore, sarei stupido
- se non Ve lo promettessi.'
- Dopodiché il re prese un filo di paglia (65)
- e perdonò a Renardo
- l'ostilità di suo padre
- oltre ai suoi misfatti.
- Che Renardo fosse contento,
- non mi sembra essere un miracolo.
- Non era stato salvato dalla morte?
- Quando a Renardo tutto era stato rimesso,
- era estremamente felice
- e disse: 'Re, nobile signore,
- che Dio Vi premia per l'onore
- che mi fate Voi e la Vostra signora.
- Sulla mia parola Vi dico
- che mi fate omaggio,
- un onore e un favore talmente grandi
- che non c'è nessuno sotto questo sole
- a cui concedo così volentieri
- il mio tesoro e la mia fedeltà
- di quanto lo faccio a Voi e alla Vostra signora.
- Renardo tenne davanti a sé un filo di paglia
- e disse: 'Signore re, prendete!
- Con questo Vi offro il tesoro
- che una volta possedette Ermanarico.'
- Il re accettò il filo di paglia
- e ringraziò Renardo come
- se volesse dire: 'Lui me ne fa signore (del tesoro).'
- Renardo rise così forte fra sé e sé
- che quasi se ne accorgeva,
- quando il re si piegò
- così docilmente alla sua volontà.
- Renardo disse: 'Signore, fate silenzio.
- Seguite bene le mie indicazioni:
- nelle Fiandre dell'est si trova
- un bosco che si chiama Hulsterloo. (66)
- Re, siete saggio
- e ricordateVi questo:
- a sudovest poco lontano da lì
- scorre una sorgente di nome Kriekeput.
- Signore re, non potete pensare
- che io stia deviando dalla verità:
- è una delle selve più vaste
- che esistano al mondo.
- Vi dico, senza esagerazioni,
- che spesso per sei mesi
- non ci andavano fino alla sorgente
- né uomini o donne
- né creature che abbiano un corpo
- tranne le civette e i gufi notturni
- che fanno i loro nidi lì nei cespugli
- o qualch'altro uccellino
- che avrebbe voluto essere altrove,
- ma che c'era passato per caso.
- E lì ho nascosto il mio tesoro!
- Ascoltate! Questo Vi è utile:
- quel posto si chiama Kriekeput.
- Lì andrete Voi e la Vostra signora.
- Tanto non conoscete nessuno più affidabile
- da farVi fare da guida,
- ascoltatemi attentamente re, per l'amor di Dio,
- andate lì Voi stessi e una volta raggiunta
- alla sorgente in questione
- troverete delle querce giovani.
- Signore re, lì dovete stare attenti:
- re, andate verso l'albero
- che sta più vicino alla sorgente.
- Lì sta sepolto il tesoro.
- Lì dovrete scavare dopo aver grattato via
- un po' di muschio ad uno dei lati.
- Lì troverete tanti gioielli
- d'oro, costosi e belli.
- Lì troverete la corona
- che portava il re Ermanarico
- e altri oggetti di valore in abbondanza.
- Pietre preziose e oggetti d'oro
- che non si potrebbero comprare con mille marchi.
- Ah re, quando sarà Vostro quel bene,
- quante volte penserete fra sé e sé:
- 'Ah Renardo, volpe fedele,
- che astutamente ha sepolto
- qui nel muschio questo tesoro,
- che Dio La benedica ovunque Lei sia.'
- Poi disse subito il re:
- 'Renardo, intraprenderò questo viaggio
- Lei deve venire con noi,
- e deve, Renardo,
- aiutarci a dissotterrare il tesoro.
- Temo di non
- trovare mai quel posto da solo.
- Ho sentito nominare Aquisgrana (67)
- e Parigi. Si trova da quelle parti?
- Mi sembra di capire
- che stia bluffando, Renardo,
- Kriekeput, che nomina qui
- è un nome inventato secondo me.'
- Questo era dispiacevole per Renardo
- che si agitò e disse: 'Si, si,
- re, ci siete così vicino
- come Colonia a maggio.
- Credete che Vi voglio far passare
- la Leie (64b) per il fiume Giordano?
- Ve lo farò vedere, credo di
- avere abbastanza prove convincenti.'
- Gridò forte: 'Cuwarto, venga qui!
- Venga qui dal re, Cuwarto!'
- Gli animali videro che Cuwarto stava per avviarsi;
- tutti si chiesero cosa stava succedendo lì.
- Cuwarto si avvicinò velocemente,
- si chiese cosa avrebbe voluto il re.
- Renardo disse: 'Cuwarto, sente freddo?
- Sta tremando. Non abbia paura
- e dica al mio signore re la verità.
- Questo esige da Lei per la fedeltà
- che deve alla signora (regina)
- e che io devo al re.'
- Poi disse Renardo: 'Glielo dica.
- Sa dove si trova Kriekeput?'
- Cuwarto disse: 'Se lo so?
- Si certo, come potrebbe essere altrimenti?
- Non si trova vicino a Hulsterloo,
- nella torbiera della zona selvaggia?
- Ho sopportato grandi sofferenze,
- spesso la fame e il freddo
- e tante privazioni
- a Kriekeput per talmente tanti giorni
- che non potrei scordarmene.
- Come potrei scordarmene
- che lì Reinout il Malvagio
- ha battuto monete false
- per mantenere sé stesso
- e i suoi alleati.
- Questo è successo prima che io e Rino,
- il mio compagno con cui ho legato tanto
- che ha pagato tante volte i miei contributi scolastici.'
- Ahimè', disse Renardo, 'dolce Rino,
- caro amico, bel cagnolino,
- per Dio, magari fossi qui!
- Avrebbe potuto spiegare a questi animali
- usando dei bei versi, se ce ne fosse bisogno,
- che non sarei mai stato così sfrontato
- da fare qualcosa
- per cui il re si sarebbe potuto
- lecitamente arrabbiare con me.
- Torni pure fra i servitori (del re)',
- disse Renardo, 'si sbrighi, Cuwarto,
- il mio signore re non ha
- più niente da dirLe.'
- Cuwarto si girò
- e lasciò il consiglio del re.
- Renardo disse: 'Re, è vero
- quello che Vi ho detto?' 'Renardo, certo di si.
- Mi perdoni, ho fatto male
- ad aver diffidato di Lei.
- Renardo, buon amico, ora
- vuole prendere in considerazione la richiesta di accompagnarci
- alla sorgente dove sta quella quercia,
- sotto la quale sta sepolto il tesoro.'
- Renardo disse: 'Chiedete una cosa impossibile.
- Credete che non sarei contentissimo
- se potessi
- camminare accanto a Voi
- ovunque volessimo
- senza che dobbiate vergognarVi?
- No, è come Vi rivelo
- e Ve lo racconto, anche se è vergognoso.
- Quando Isengrimo in nome del diavolo
- tanto tempo fa era diventato monaco
- e gli avevano dato la tonsura,
- non gli bastò la razione
- con la quale sei monaci potevano sopravvivere.
- Si lamentò e si lagnò così tanto
- dalla fame che ebbi pietà di lui.
- Quando si ammalò e diventò debole
- mi spiacque essendo un suo parente
- così gli consigliai di scappare.
- Per questo sono stato scomunicato dal papa.
- Domani quando sorgerà il sole.
- voglio andare a Roma per ottenere l'indulgenza.
- Da Roma voglio partire per la Terra Santa;
- da lì non tornerò
- prima di aver fatto così tanta (penitenza),
- re, da poter venire da Voi
- senza danneggiare il Vostro onore e la Vostra pietà
- una volta tornato nel paese.
- Sarebbe una cosa indecente
- se Voi, signore re
- faceste un viaggio
- insieme ad un esile dannato
- che ora sono, che Dio mi migliori.'
- Il re disse: 'Renardo,
- è da tanto tempo che è scomunicato?' Poi disse Renardo:
- 'Si lo sono, sono passati tre anni da quando
- il decano Ermanno
- mi ha scomunicato di fronte al sinodo.
- Il re disse: 'Renardo, dopo che è stato
- scomunicato, me lo potrebbero rimproverare
- Renardo, se intraprendessi un viaggio con Lei.
- Farò venire con me Cuwarto
- o qualcun altro, fino al tesoro.
- E le consiglio, Renardo, di
- non tralasciare di fare il Suo viaggio
- che La purificherà dalla Sua scomunica.
- 'Non lo farò', disse Renardo.
- Domani partirò per Roma,
- se tutto va secondo la mia volontà.'
- Il re disse: 'Credo che è
- pieno di buoni propositi.
- Che Dio Le conceda di adempierli
- affinché serva a Lei e a me
- e a tutti noi.
- Dopo aver detto queste parole,
- Nobile il re si mise
- su una pedana di pietra,
- dove era solito stare soltanto
- quando teneva una seduta di tribunale.
- Tutti gli animali ci stavano seduti
- intorno sull'erba in un cerchio
- secondo la loro stirpe.
- Renardo stava vicino alla regina:
- Preghi per me, nobile signora,
- affinché La posso rivedere in amicizia.'
- Disse: 'Che il signore, che è onnipotente,
- La perdoni.'
- Il re e la regina
- andavano a stare allegramente
- di fronti ai loro animali poveri e ricchi.
- Il re disse gentilmente:
- 'Renardo è venuto qui a corte,
- e vuole, per l'amor di Dio,
- migliorarsi con tutto il cuore.
- E mia moglie, la regina
- ha insistito così tanto a suo favore
- che sono diventato un suo amico
- e si è riconciliato con me,
- inoltre è stato liberato
- da ogni persecuzione e ogni punizione.
- Ora gli proclamo la pace completa.
- Un'altra volta gli proclamo la pace
- anche per la terza volta
- e ordino a tutti voi, sulla vostra vita,
- di fare omaggio a Renardo, a sua moglie
- e ai suoi figli
- ovunque li incontriate,
- sia di notte che di giorno.
- Non voglio più sentire
- delle lamentele su Renardo.
- Sebbene fosse spregiudicato prima,
- vuole migliorarsi, vi dico come:
- domani mattina presto Renardo
- vuole ricevere un bastone e una borsa da pellegrino
- per recarsi a Roma
- e da Roma partirà per la Terra Santa,
- da lì non tornerà
- prima di aver ricevuto l'indulgenza plenaria
- per tutti i suoi misfatti.'
- Tiecelino sentì queste parole
- e ritornò volando lì
- dove trovò i tre compagni.
- Sentite ora cosa racconterà loro.
- Disse: 'Stupidi, cosa fate qui?
- Renardo è capo servitore (68)
- a corte ed è eccessivamente potente.
- Il re gli ha rimesso
- tutti i suoi misfatti
- e siete stati traditi tutti e tre.'
- Isengrimo rispose a
- Tiecelino bruscamente:
- 'Credo che stia mentendo, signor corvo.'
- Dopodiché corse subito via
- e Bruno lo seguì.
- Corsero, allungando
- le loro membra, verso la corte.
- Tiberto rimase seduto
- terrorizzato sul patibolo.
- Era talmente tanto preoccupato
- per la sua pelliccia,
- che avrebbe preferito nessuna rappresaglia
- per l'occhio
- che aveva perso nel magazzino del prete,
- se questo l'avesse riconciliato con Renardo.
- Dalla paura non seppe fare altro
- che mettersi seduto sul patibolo.
- Si lamentò tanto e a lungo
- per aver mai conosciuto Renardo.
- Isengrimo si aprì un varco
- di gran fretta fino alla regina
- e rimbrottò
- Renardo così pesantemente
- che il re si infuriò
- e fece catturare Isengrimo
- e Bruno. Vennero subito
- catturati e legati.
- Non si erano mai visti disonorare
- cani furiosi come
- allora Isengrimo e anche Bruno.
- Vennero trattati come delinquenti
- e li legarono entrambi così forte,
- che per tutta la notte
- con nessun sforzo
- avrebbero potuto muovere un dito.
- Ora sentito come li tratterà.
- Renardo che era crudelissimo con lui,
- fece ritagliare dalla schiena
- di Bruno una borsa di pelle,
- che gli servirà da borsa da pellegrino,
- lunga e larga un piede.
- Allora Renardo sarebbe stato pronto
- se avesse avuto quattro scarpe nuove.
- Sentite ora cosa farà
- per procurarsi quattro scarpe!
- Sussurrò alla regina:
- 'Signora, sono il Vostro pellegrino,
- mio zio Isengrimo sta qui,
- porta quattro scarpe solide,
- mi aiuti a farmele indossare.
- Prenderò cura della Vostra anima:
- è un obbligo per il pellegrino
- ricordare nelle sue preghiere
- tutto il bene che gli hanno mai fatto.
- Potete curare la Vostra anima grazie a me.
- E fate che mia zia Hersinta
- mi dia due delle sue scarpe,
- lo potete fare mantenendo il decoro:
- sta sempre comodamente a casa.'
- Volentieri', disse la regina,
- 'Renardo, non Le può mancare niente,
- non può fare a meno delle scarpe: deve viaggiare
- all'estero sotto la protezione di Dio,
- oltre le montagne e attraverso i boschi
- e passare sopra i cespugli e pietre.
- Questo sforzo non sarà facile.
- È necessario che Lei abbia delle scarpe.
- Mi impegnerò volentieri.
- Quelle (scarpe) di Isengrimo vi staranno bene:
- sono così solide e spesse
- quelle che portano Isengrimo e sua moglie.
- Anche se costassero loro la loro vita,
- ognuno di loro Le deve dare due scarpe
- con le quali deve partire per il Suo viaggio.'
- Il pellegrino finto è quindi riuscito
- a far perdere
- al signor Isengrimo la pelle
- di entrambi le zampe anteriori
- dalle ginocchia fino agli artigli.
- Non avete mai visto cucire gli occhi di un uccello
- che teneva così ferme le palpebre
- come fece Isengrimo
- quando gli tolsero miseramente le scarpe
- in modo che il sangue gli colava verso le dita dei piedi.
- Quando Isengrimo era stato scalzato,
- doveva andare a sdraiarsi sull'erba
- alla signora Hersinta, la lupa
- che era molto sconfortata,
- le fece togliere la pelle
- e strappare gli artigli
- di entrambi le zampe posteriori.
- Questo fatto attenuò
- lo scoraggiamento di Renardo.
- Sentite ora come si lamenta!
- Zia', disse, 'zia,
- quante sofferenze
- ha dovuto sopportare per colpa mia?
- Mi spiacciono tutte, tranne questa,
- anzi mi fa piacere, Le dico perché:
- Lei è , mi creda,
- uno dei miei parenti preferiti,
- perciò porterò volentieri le Sue scarpe.
- Dio sa che tornerà a vantaggio Suo.
- Parteciperà all'indulgenza papale
- e al perdono,
- cara zia, che io nelle Sue scarpe
- andrò a procurare nella Terra Santa.'
- La signora Hersinta soffrì così tanto
- che stentò a parlare:
- Ahimé Renardo, che Dio possa vendicarmi
- perché ci vedete (sofferenti) come desidera Lei!'
- Isengrimo era furioso e tacque
- e il suo compagno Bruno,
- era troppo sconfortato:
- stavano legati feriti.
- Se in quel momento
- Tiberto il gatto fosse stato lì
- lo posso dire con certezza,
- aveva fatto così tante cose in precedenza,
- non sarebbe rimasto illeso.
- Ma sarò breve.
- Il giorno successivo, prima dell'alba,
- Renardo fece mettersi le scarpe
- che prima appartenevano a Isengrimo
- e a sua moglie, la signora Hersinta,
- dopo averle allacciate
- intorno ai suoi piedi, andò
- lì dove si trovò il re
- e sua moglie la regina.
- Disse con tono gentile:
- 'Signore, che Dio dia il buongiorno a Voi
- e alla Vostra signora, che
- giustamente lodo.
- Ora fate dare al Vostro servitore Renardo
- il bastone e la borsa da pellegrino e lasciatemi partire.'
- Poi il re mandò subito a chiamare
- il cappellano Belino l'ariete. (69)
- Quando raggiunse il re,
- il sovrano disse: 'Ecco
- il pellegrino. Lo benedica
- e gli dia la borsa e il bastone da pellegrino.'
- Belino rispose al re:
- 'Signore, non oso fare questo:
- Renardo stesso ha confessato
- di essere stato scomunicato dal papa.'
- Il re disse: 'Belino, e allora?
- Il maestro Jufroet ce l'ha spiegato,
- sebbene un unico uomo avesse commesso
- gli stessi peccati di tutti coloro che vivono,
- se vuole rinunciare alla malvagità,
- e confessarsi
- e se come atto di penitenza
- deve recarsi alla Terra Santa,
- in questo modo si poteva purificare.'
- Poi disse Belino al re:
- 'Non compierò nessun atto religioso
- giusto o sbagliato che sia,
- tranne se Voi mi rendete indenne
- nei confronti del vescovo e del decano.
- Il re disse: 'Per otto settimane
- credo di non chiederLe più così tanto.
- Anche se preferirei vederLa impiccato
- piuttosto che pregarLa ora.'
- Quando Belino sentì che
- il re si arrabbiò con lui,
- si impaurì
- che tremava dalla paura
- e andò a preparare il suo altare
- e iniziò a cantare e a leggere ad alta voce
- tutto che gli sembrò giusto.
- Quando Belino il cappellano
- aveva docilmente tenuto
- la messa adatta al momento del giorno,
- appese al collo (di Renardo)
- una borsa da pellegrino di pelle di Bruno.
- Inoltre diede in mano all'uomo fellone
- anche un bastone da pellegrino
- alla sua disposizione. Poi fu
- completamente pronto per il viaggio.
- Poi guardò in direzione del re
- mentre lacrime finte cadevano
- giù lungo i suoi baffetti
- come se gli doleva il cuore
- dal dispiacere.
- Era dispiaciuto per nient'altro che
- per non aver arrecato
- a tutti quelli che stava lasciando lì
- gli stessi danni come a Bruno e Isengrimo,
- quando ne aveva avuto la possibilità.
- Tuttavia stava lì e chiese a tutti
- di pregare per lui
- altrettanto lealmente come avrebbe voluto
- pregare lui per tutti loro.
- Quel congedo durava troppo per lui,
- preferiva partire
- perché stava sempre in ansia
- come quelli che si sanno colpevoli.
- Poi disse il re: Mi dispiace,
- Renardo, che abbia fretta.'
- No, signore, è ora!
- Non si rimandano le buone azioni.
- Con la Vostra benedizione vorrei partire.'
- Il re disse: 'Che Dio La benedica.'
- Poi il re ordinò a tutta la corte,
- tranne ai prigionieri,
- di accompagnare fuori Renardo.
- Così Renardo era pellegrino
- e suo zio Isengrimo
- e Bruno stavano legati
- indeboliti dalle gravi ferite.
- Mi sembra e penso
- che nessuno sia così malinconico,
- a causa della miseria nella quale potrebbe essere caduto,
- tra la Polonia e la Scozia
- che avrebbe potuto trattenersi dal ridere
- se allora avesse visto Renardo.
- In quale modo bizzarro se ne stava andando
- e come gli stavano comodi
- la borsa e il bastone da pellegrino intorno al collo
- e tutte le sue scarpe
- che portava legate intorno alle
- gambe, così che sembrava
- quasi un vero pellegrino.
- Renardo rideva sotto i baffi
- perché lo accompagnavano
- in un corteo così grande
- quelli che prima gli erano ostili.
- Poi disse: 'Re, mi dispiace
- che mi accompagniate così lontano.
- Temo che possa essere pericoloso per Voi.
- Avete catturato tre assassini,
- se dovesse succedere che scappassero via,
- dovrete stare in guardia
- più che mai.
- State in buona salute e lasciatemi partire.'
- Dopo aver detto queste parole
- si mise sulle zampe posteriori
- e pregò gli animali piccoli e grandi
- di pregare per lui
- se avessero voluto partecipare
- lecitamente alle sue buone azioni.
- Dissero tutti di
- ricordarlo nelle loro preghiere.
- Sentite ora cosa fece Renardo!
- Quando si congedò dal re
- che era molto afflitto
- così da muovere alcuni di loro a compassione.
- A Cuwarto, la lepre, disse gemendo:
- 'Ahimè, Cuwarto, dobbiamo dividerci!
- Se Dio lo vuole, mi scorterà Lei
- insieme al mio amico, Belino l'ariete.
- Voi due, non mi avete mai fatto del male.
- Dovreste accompagnarmi per un po'.
- Siete socievoli,
- esemplari, gentili
- e nessun animale ha da lamentarsi di Voi.
- Vivete modestamente
- come facevo io
- quando ero eremita.
- Mangiate piante erbacee e erba
- senza pretendere
- né pane né carne
- né cibi particolari.'
- Con queste esaltazioni
- Renardo ingannò questi due
- affinché procedessero
- fino ad arrivare alla sua abitazione,
- davanti al portone di Maupertus.
- Quando Renardo arrivò davanti portone,
- disse: 'Belino, cugino ariete,
- Lei deve rimanere qui fuori da solo.
- Io devo entrare nella mia fortezza;
- Cuwarto entrerà con me.
- Signor Belino, pregalo
- di consolare la signora Hermelina
- e i suoi volpini,
- quando mi congederò con loro.'
- Belino disse: 'Lo pregherò
- di rincuorarli quando rimarranno soli.
- Renardo iniziò, con belle parole,
- a lusingare e a lodare
- in tutti i modi
- e grazie alla sua astuzia portò
- Cuwarto dentro alla sua tana.
- Quando entrarono nella tana
- Cuwarto insieme a Renardo
- ci trovarono la signora Hermelina
- con i suoi cuccioli.
- Era preoccupata e inquieta
- perché pensava che Renardo era stato
- impiccato ma quando vide
- che era tornato a casa
- portando con sé un bastone e una borsa da pellegrino,
- le sembrava incredibile.
- Era felicissima e disse subito:
- 'Renardo, come hai fatto a fuggire?
- 'Sono diventato un pellegrino.
- Il signor Bruno e il signor Isengrimo
- sono diventati ostaggi grazie a me.
- Il re ci ha dato, lo ringrazio,
- Cuwarto come sacrificio propiziatorio legittimo
- per farci quello che ci pare.
- Il re ha riconosciuto che
- era stato Cuwarto il primo
- a accusarci falsamente di fronte a lui.
- Per la fedeltà di cui
- ti sono in debito, moglie Hermelina:
- un grosso guaio minaccia su Cuwarto.
- Sono davvero arrabbiato con lui!
- Appena Cuwarto sentì questo,
- si girò e pensò di scappare
- ma questo non gli fu possibile
- perché Renardo gli aveva bloccato
- il portone e assettato di sangue
- lo prese subito per la gola.
- Cuwarto strillò pietosamente:
- 'Mi aiuti, Belino! Dov'è?
- Questo pellegrino mi ucciderà a morsi!'
- Quel strillare finì presto
- perché Renardo morse subito
- in due la sua gola.
- Poi disse Renardo: 'Ora mangiamo
- questa lepre bella grassa.'
- I volpini corsero verso l'esca
- per andare a mangiar tutti insieme.
- Che Cuwarto avesse perso la vita,
- dispiaceva loro ben poco.
- Hermelina, la moglie di Renardo,
- mangiò la carne e bevve il sangue.
- Ah, quante volte ringraziava
- il re che, grazie alla sua gentilezza,
- aveva reso felici i volpini
- con un pasto così gustoso.
- Renardo disse: 'Te lo offre volentieri.
- So che se rimanesse in vita il re,
- ci darebbe un regalo
- che lui stesso
- non vorrebbe in cambio di sette marchi d'oro.'
- 'Quale regalo sarebbe?', disse Hermelina.
- Renardo disse: 'Una corda,
- una trave e due pali,
- ma se posso, gli sarò sfuggito,
- spero, prima che saranno passati due giorni
- così che non terrei più alla sua convocazione
- che lui alla mia.'
- Disse: 'Renardo, cosa intendi?'
- 'Renardo disse: 'Moglie, ti spiego:
- conosco una selva (70)
- piena di cespugli e di brughiere
- che non è priva
- di ottimi alloggi e cibi.
- Lì abitano galline e starne
- e diversi tipi di uccelli.
- Se vuoi, moglie Hermelina,
- vieni con me?
- Potremo viverci per sette anni,
- farci delle passeggiate all'ombra
- e starci da Dio
- prima di essere spiati.
- Se dicessi di più, non mentirei.'
- 'Ah, Renardo', disse la signora Hermelina,
- 'questo mi sembra
- uno sforzo invano.
- Ora ha giurato
- di non abitare più in questo paese
- prima di ritornare dalla Terra Santa,
- inoltre ha ricevuto il bastone e la borsa da pellegrino.'
- Renardo rispose subito:
- 'Giurato tanto, perso tanto!
- Una volta un uomo saggio mi disse
- come consiglio:
- 'I giuramenti forzati non sono veri.'
- Anche se compissi questo viaggio,
- non mi aiuterebbe ', disse Renardo,
- non ne trarrei alcun beneficio.
- Ho promesso al re
- un tesoro che non possiedo
- e quando verrà a sapere la verità
- e che gli ho mentito
- e di essere stato ingannato da me,
- allora mi odierà più
- di quanto abbia mai fatto.
- Così ho pensato fra me e me:
- vale lo stesso partire
- o rimanere.', disse Renardo,
- 'Che Dio maledica la mia barba rossa,
- vada come vada,
- se mai mi spingerà
- sia il gatto, sia il tasso,
- sia Bruno, che era mio zio,
- né per vantaggio, né per svantaggio
- a dover riguadagnare le grazie del re,
- in tutta la mia vita.
- Ho sofferto troppe paure.'
- Belino l'ariete si infuriò
- perché Cuwarto, il suo compagno,
- si tratteneva così tanto nella tana.
- Molto impazientemente strillò:
- 'Cuwarto, diamine!
- Per quanto tempo Renardo La terrà lì?
- Perché non viene fuori e ce ne andiamo?'
- Quando Renardo sentì questo,
- andò fuori da Belino
- e disse con calma:
- Ah, signore, perché è così arrabbiato?
- Se Cuwarto sta parlando con me
- e con mia moglie,
- perché si agita così?
- Cuwarto mi ha fatto capire,
- che piano piano può andare avanti,
- se non vuole restare qui più a lungo.
- Rimarrà qui un altro po'
- con sua zia Hermelina
- e i suoi volpini,
- che piangono forte e gemono
- per la mia partenza.'
- Belino disse: 'Ora me lo dica,
- signor Renardo, quale torto
- ha fatto a Cuwarto?
- Come ho potuto sentire
- mi chiedeva, urlando forte, aiuto.'
- Renardo disse: 'Cosa sta dicendo,
- Belino? Che Dio abbia pietà di Lei.
- Le racconto come sono andate le cose.
- Quando sono entrato in casa
- e Hermelina ha appreso
- che sarei partito per la Terra Santa,
- le è dispiaciuto così tanto
- che è rimasta a lungo inconscia.
- Quando Cuwarto ha visto questo,
- ha strillato forte: 'Nobile eroe,
- venga qui e mi aiuti
- a far rinvenire mia zia, è svenuta!'
- Questo ha strillato forte.
- Erano queste (le parole) che ha strillato e basta.
- Di sicuro ho sentito bene
- che Cuwarto si agitava tanto.
- Credevo che gli fosse successo qualcosa di brutto.'
- Renardo disse: 'Belino, non è così!
- Preferirei che qualcosa di brutto succedesse
- ai miei figli o a mia moglie
- piuttosto che a mio cugino Cuwarto.'
- Renardo disse: 'Ha sentito
- che ieri il re mi ha ordinato
- in presenza di tutti i cortigiani più importanti
- di scrivergli una lettera
- prima di partire per l'estero?
- Gliela porterà Lei, Bellino, cugino?
- L'ho già scritta ed è pronta.'
- Belino disse: 'Non ne so niente,
- Renardo, ma se so che la Sua lettera
- è sincera, allora mi può
- chiedere di consegnarla
- al re, se avrò qualcosa
- in cui metterla.'
- Renardo disse: 'Non Le mancherà.
- Prima che la lettera per il re rimanga qui,
- Le do questa borsa da pellegrino,
- signor Belino, che porto io.
- L'appendo intorno al Suo collo
- con la lettera all'interno.
- Le offrirà molti vantaggi,
- i ringraziamenti del re e grande onore.
- Signore mio, sarà il benvenuto
- presso il re.'
- Il signor Belino apprezzò molto questo.
- Renardo entrò nella sua tana
- e tornò portando
- per il suo amico Belino
- la testa di Cuwarto
- messo nella borsa da pellegrino
- che come una delle sue insidie
- appese intorno al collo di Belino
- al quale ordinò espressamente
- di non leggere
- la lettera, se avrebbe voluto
- guadagnare l'amicizia del re,
- inoltre gli disse, che la lettera era
- stata nascosta nella borsa da pellegrino
- e se volesse diventare importante
- e se gli fosse caro il re
- allora dovrebbe dire al re di
- aver scritto questa lettera personalmente
- o di averla suggerita,
- allora il re gli sarebbe stato grato.
- Questo sentì Belino e sobbalzò
- dal posta sul quale stava
- per più di mezzo piede,
- così contento era per questo piano
- che pagherà caro.
- Poi disse Renardo: 'Signor Bellino,
- ora sono convinto che Lei faccia onore
- a me e ai cortigiani.
- La ammireranno molto
- quando sapranno che Lei sa scrivere
- parole così belle e fluide
- anche se non lo sa fare.
- Si dice che tanti uomini
- vengono onorati grazie a Dio
- per cose di cui sanno ben poco.'
- Dopodiché disse Belino: 'Renardo,
- cosa consiglia? Cuwarto
- dovrebbe tornare con me a corte?'
- 'No.', disse Renardo, 'La seguirà subito
- seguendo lo stesso sentiero.
- Non ne ha ancora avuto la possibilità.
- Vada avanti con calma.
- Rivelerò a Cuwarto una cosa
- che è ancora segreta.'
- Renardo, che rimanga sotto la protezione di Dio.',
- disse Belino e si mise in viaggio.
- Sentite ora cosa fa Renardo!
- Ritornò nella sua tana
- e disse: 'Ci aspettano guai
- e grande sofferenza se rimaniamo qui!
- Preparatevi, moglie Hermelina
- e tutti i figli miei.
- Seguite me che sono il vostro padre,
- proviamo a scappare.'
- Poi non persero altro tempo:
- si misero in viaggio
- Hermelina, il signor Renardo
- e i loro volpini giovani;
- partirono per la selva.
- Belino l'ariete aveva
- corso così velocemente che arrivò
- a corte poco dopo mezzogiorno.
- Quando il re vide Belino,
- che stava portando indietro la borsa da pellegrino,
- per la quale Bruno l'orso era
- stato trattato poco dolcemente,
- disse subito a Belino:
- 'Signor Belino, da dove viene?
- Dov'è Renardo? Come mai
- non ha portato con sé la borsa da pellegrino?
- Belino disse: 'Vi dirò
- tutto quello che so.
- Quando Renardo era pronto
- per lasciare il suo castello,
- mi disse di volerVi, nobile re,
- mandare una lettera.
- Mi pregò di
- portarla per l'amor Vostro.
- Dissi: 'Per Lei
- porterei persino più di sette lettere.
- Poi Renardo non riuscì a trovare
- qualcosa nella quale trasportare la lettera.
- Così mi portò la borsa da pellegrino
- e ci infilò la lettera.
- un poeta più bravo di me.
- Ho scritto io la lettera per lui,
- bene o male che vada,
- questa lettera è stata composta e scritta
- secondo il mio avviso.'
- Poi il re fece dare
- la lettera a Botsardo, il suo segretario,
- che era più di chiunque altro
- esperto in materia.
- Solitamente era Botsardo a leggere
- le lettere che arrivavano a corte.
- Botsardo e Brunello tolsero
- la borsa da pellegrino dal collo di Belino
- che a causa della sua stupidità
- aveva detto troppo
- di cui ben presto si pentirà.
- Botsardo prese la borsa da pellegrino.
- Poi era chiaro cosa aveva fatto Renardo!
- Tirò fuori la testa
- e appena la vide Botsardo, disse:
- 'Aiuto, che razza di lettera è? (71)
- Signore re, per tutti i santi,
- questa è la testa di Cuwarto!
- Ahimè, come ha fatto
- a fidarsi così tanto di Renardo!
- Poi tutti potevano vedere l'infelicità e il dispiacere
- del re e della regina.
- Il re era sconfortato
- e chinò la testa.
- Dopo tanto tempo la rialzò
- e iniziò ad emettere (72)
- uno dei suoni più terribili
- che gli animali avevano mai sentito.
- Gli animali presero un colpo.
- Poi saltò in avanti Firapelo,
- il leopardo. Faceva parte
- della famiglia reale, quindi lo poteva fare.
- Disse: 'Signore, re leone,
- perché vi fate abbattere così?
- È stravolto come
- se fosse morta la regina.
- Siete buono e molto saggio
- e moderate il Vostro dispiacere.'
- Il re disse: 'Signor Firapelo,
- sono dispiaciuto perché un uomo malvagio
- mi ha ingannato
- e mi ha attirato in trappola grazie all'astuzia
- perciò a ragione odio me stesso
- e ho perso il mio onore.
- Coloro che prima erano i miei amici,
- il coraggioso signor Bruno e il signor Isengrimo,
- mi sono stati tolti da un pellegrino finto,
- questo mi sta così tanto al cuore
- che ci rimetteranno il mio onore
- e la mia vita, è anche giusto.'
- Poi disse Firapelo:
- 'È stato commesso un crimine, allora bisogna riconciliarsi.
- Bisogna far venire il lupo e l'orso
- e anche la signora Hersinta
- risarcirli immediatamente per il torto subito,
- la loro sofferenza e il loro dolore
- con l'ariete Belino,
- dato che ha confessato lui stesso
- di aver portato Cuwarto alla rovina.
- Dopodiché andremo tutti di corsa
- - chi ha fatto del male, ci deve rimettere -
- dietro a Renardo, lo cattureremo
- e lo impiccheremo
- senza verdetto, è giusto!'
- Il re rispose a questo:
- 'Oh, signor Firapelo,
- se questo potesse succedere, già parte
- del dolore, che mi affligge, sarebbe alleviato.'
- Firapelo disse: 'Signor, appunto!
- Ci penso io alla riconciliazione.'
- Poi il coraggioso Firapelo andò
- lì dove si trovavano i prigionieri.
- Credo che prima li liberò,
- poi disse: 'Signori,
- vi porto la pace e la libertà.
- Il mio signore re vi saluta
- e sta provando rimorso
- per avervi maltrattato.
- Se la volete, ora vi offre,
- anche se qualcuno sarà contento, qualcuno arrabbiato,
- come sacrificio propiziatori Belino l'ariete
- e tutti i parenti del signor Belino
- d'ora fino al giorno del giudizio universale
- sia nei campi che nel bosco.
- Saranno tutti nel vostro potere
- e uccideteli a morsi a piacimento.
- Ma soprattutto il re dichiara
- che impunemente
- potete far soffrire e fare del male a Renardo
- e a tutti i suoi parenti
- ovunque li troviate.
- Ora il re vi vuole mettere
- questi due grandi privilegi
- per l'eternità alla vostra disposizione.
- Ma in cambio il potente re vuole
- che gli giurate fedeltà per sempre.
- Anche da parte sua,
- non vi farà più del male.
- Questo vi offre il re leone.
- Se accetterete questo, vivrete nelle sue grazie.
- Per Dio, ve lo consiglio!'
- Isengrimo disse all'orso:
- 'Cosa ne dice, signor orso?'
- Bruno disse: 'Preferisco stare in mezzo al verde
- che stare qui ammanettato.
- Andiamo dal re
- per accettare la sua proposta di pace.'
- Andarono lì in compagnia di Firapelo
- e stipularono tutti la pace.
Note al testo
(1) 'tanti libri' (v. 1)
Sia nel manoscritto di Dijcke che nel fragmento di Bruxelles leggiamo:
' Willam, die Madock maecte'. Nel manoscritto di Comburg invece vediamo
che la parola 'Madock' è stata grattata via e sostituita, con qualche
difficoltà, da 'vele bouke'. Probabilmente un utente del manoscritto
del tardo-medioevo ha cancellato il titolo di questa opera, che non è
stata conservata (o non ancora riscoperta), perché non era più nota.
Citare un proprio lavoro, come forma di pubblicità, era diffuso nella
letteratura medievale.
(2) 'per cui spesso rimaneva sveglio la notte' (v. 2)
Come tanti altri scrittori medievali, anche Willem ricorda nel prologo
lo sforzo sostenuto per scrivere il suo poema. Lo scopo dello scrittore
medievale era di ottenere l'attenzione e l'apprezzamento da parte del
pubblico. Qui però Willem non si riferisce a "Van den vos Reynaerde",
bensì ad un altro suo poema, "Madock". Usando a modo suo questo motivo
della letteratura medievale, fa capire al suo pubblico che non si
tratterà di una delle solite opere.
(3) 'Arnout' (v. 6)
Nel prologo l'autore annuncia di non aver completato la sua opera.
Probabilmente la versione originale è da ricercare nel manoscritto di
Dijcke: 'Die Arnout niet en hadde bescreven'. Chi era Arnout e quali
opere ha scritto, non lo sappiamo. In ogni caso, i filologi sostengono
che "Van den vos Reynaerde" è stato composto da un' unica mano. Il
pubblico medievale forse sapeva a chi si riferisce Willem, dato che non
ne fornisce ulteriori informazioni.
(4) 'vita' (v. 7)
L'autore fa un uso ironico del termine 'vita', che in questo ambito si
riferisce ad un genere letterario, ossia ad una biografia di una
persona 'santa', illustre. Quindi di sicuro non è adatto per parlare di
Renardo, la volpe malvagia.
(5) 'sia i villani che gli scocchi' (v. 13)
Con questo verso Willem circoscrive il suo target: un pubblico cortese
e attento in grado di capire le sottigliezze del poema. Ironicamente,
proprio quel pubblico cortese verrà criticato pesantemente nel corso
dell'opera.
(6) 'se non una signora non l'avesse chiesto' (v. 27)
Anche qui il poeta usa in modo ironico un topos della letteratura
cortese: menziona la signora che gli aveva affidato l'incarico. Ma come
si può dedicare un poema pieno di oscenità e di doppi sensi ad una
signora 'die in groeter hovescheden gherne keert hare saken'.
(7) 'che tengono molto all'onore' (v. 35)
Willem gioca con la possibilità che il dialetto delle Fiandre dell'est,
per quanto riguarda la pronuncia della h, gli offre. Siccome la h non
viene pronunciato all'inizio parola, 'eren' può significare sia 'onore'
che 'heren', cioè 'uomini'. In questo ultimo caso, Willem si
rivolgerebbe a 'coloro che tengono molto agli uomini', ossia alle donne
facili.
(8) 'era Pentecoste' (v.41)
La storia vera e propria inizia con un chiaro riferimento al genere dei
romanzi arturiani. Questi iniziano di solito con una cerimonia di corte
tenuta il giorno di Pentecoste (vedi IV).
(9) 'boschi e cespugli' (v.42)
Il poeta suggerisce qui un 'locus amoenus', ossia un luogo naturale
idillico dove si vive felicemente ed un armonia. Questo tipo di
ambiente sta centrale nel romanzo cavalleresco, cortese. Qui il 'locus
amoenus' è rappresentato dalla corte di Nobile che sta per il mondo
civilizzato, luogo contrapposto alla 'woestine' selvaggia, ambiente
naturale della volpe, Renardo.
(10) 'la cerimonia di corte' (v.45)
Il parallelismo con il famoso racconto carolino 'Karel ende Elegast' è
evidente: alla vigilia della cerimonia di corte, i re sperano di poter
aumentare il loro potere. Laddove re Carlo riesce a confermare la sua
posizione, re Nobile, anche a causa delle proprie debolezze, assiste al
degrado del suo regno.
(11) 'tutti tranne la volpe Renardo' (v.50)
Renardo assume da subito il ruolo del 'manque', personaggio del romanzo
arturiano che provoca con la sua assenza uno squilibrio all'interno
della comunità. (vedi IV)
(12) 'chi si riconosce colpevole, sta attento' (v.53)
Con questa 'sententia', il narratore si rivolge in modo diretto al suo
pubblico. Giudica obiettivamente gli eventi: la volpe è colpevole.
(13) 'il fellone dalla barba grigia' (v.60)
Nei romanzi arturiani, il protagonista viene descritto con tono
elogiativo mettendo in risalto una sua qualità. Questa convenzione
viene usata in modo ironico da Willem: Renardo viene definito 'fel',
termine che significa l'esatto opposto di tutto ciò che ha a vedere con
la cortesia e la raffinatezza.
(14) 'Isengrimo' (v.62)
Una delle maggior fonti di "Van den vos Reynaerde" è il poema latino
"Ysengrimus", composto a Ghent nel 1150 ca. Il protagonista di questa
opera è proprio il lupo Ysengrimus. Ricordiamo che gli animali
svolgevano un ruolo importante nella religione e nella vita in generale
dei popoli germanici. Tanti nomi germanici contengono il nome di un'
animale, dato che credevano che attraverso il nome, i poteri
dell'animale venissero trasmessi alla persona. Anche 'grim', che
significa 'maschera', era ricorrente come parte dei nomi propri. I
Franchi usavano il termine 'ysengrimus' per indicare un uomo con la
maschera di lupo. Più tardi questo termine è diventato il nome proprio
del lupo stesso.
(15) 'stuprato' (v.73)
Questo è un ottimo esempio di un gioco di parole. Siccome 'verhoerd'
significa sia 'stuprare' che 'soddisfare', si potrebbe intendere che
Renardo non abbia stuprata la lupa, ma che piuttosto abbia raccolto la
sua provocazione.
(16) 'Ghent' (v.91)
città[ljml1] belga, capoluogo delle Fiandre dell'est. Forse Willem era
proprio di Ghent oppure ha voluto fare un omaggio (magari per
compiacere il pubblico) a questa allora importantissima città fiamminga.
(17) 'Cortoys' (v. 100)
Il cagnolino di lingua francese viene chiamato ironicamente 'courtois',
'il cortese'. Si lamenta di una stupidaggine - una salsiccia rubata -
rispetto alle accuse fatte dal lupo, Isengrimo. Il giorno della
cerimonia di corte non è certo il momento adatto per parlare di cose
così futili. Allo stesso tempo potrebbe essere un'indicazione che al
quell'epoca la corte fiamminga era francesizzata o almeno bilingue.
(18) 'Tiberto il gatto si arrabbiò' (v. 107)
Non è un caso che litigano proprio Tiberto e Cortoys: di solito cani e gatti non vanno d'accordo.
(19) 'è successo tanti anni fa' (v. 115)
Secondo il sistema giudiziario medievale fiammingo, un'accusa scadeva dopo dodici mesi.
(20) 'durante il periodo di pace' (v. 140)
Come un vero sovrano, Nobile proclama un periodo di pace, garantendo
così l'armonia tra i sudditi. Chi non lo rispettava, veniva punito
severamente, anche con la pena di morte.
(21) 'stretto fra le sue gambe' (v. 145)
Qui si allude ad un rapporto omosessuale.
(22) 'Cuwarto' (v. 164)
Il nome della lepre deriva dal francese 'couard': codardo.
23) 'le passere di mare' (v. 208), 'un prosciutto' (v. 217)
Sono due episodi che ritroviamo nei due fonti principali di "Van den
Vos Reynaerde": "Le plaid" all' interno di "Roman de Renard e
"Ysengrimus", il poema latino.
(24) 'vita' (v. 237)
Anche qui abbiamo un gioco di parole, 'lijf' significa sia 'vita' che 'corpo'. L'autore allude quindi ad un atto sessuale.
(25) 'Hersinta' (v. 242)
Grimberto la definisce con termini cortesi 'die scone vrauwe'. In realtà, il nome allude a ben altro: 'haer sin 't', 'le piace'.
(26) 'ripresa' (v. 245)
Qui abbiamo a che fare con l'ennesimo doppio senso. 'ghenesen'
significa 'riprendersi', quindi Grimberto quasi ammette che si trattava
di uno stupro, ma anche 'venire' in senso erotico, termine che combacia
con il nome di Hersinta che la definisce una puttana.
(27) 'Cantachiaro' (v. 285)
Il nome del gallo deriva dal francese 'chante clair'. Rispetto alle
fonti, ha un ruolo più importante in "Van den vos Reynaerde".
Cantachiaro rappresenta il suo pollaio come un 'hortus conclusus' che
suggerisce un luogo armonico e felice che verrà disturbato dalla volpe
Renardo.
(28) 'Cantore' (v. 295) , 'Chirico' (v. 299)
L'antroponomia nella famiglia delle galline è particolarmente
interessante. I nomi dei galli hanno allitterano: 'Canticleer, Cantaert
e Crayant. Tutti e tre si riferiscono al canto del gallo. Il principio
dell'allitterazione si rifà all'antica nomenclatura aristocratica. Le
galline, invece, devono il loro nome ad una loro caratteristica fisica
come 'Roede' e 'Pinte'.
(29) 'tra il Portogallo e la Polania' (v. 301)
Sono le frontiere del territorio cristianizzato.
(30) 'dei miei figli' (v. 320)
Siccome parla il padre, Cantachiaro, si tratta dei suoi figli e non
delle sue sorelle. Si tratterebbe di una sbaglio, infatti nel
manoscritto di Dijcke leggiamo: 'minen kindren'.
(31) 'eremita' (v. 356), 'bastone', 'mantello' (v. 372)
Cantachiaro non ha fatto caso al fatto che Renardo si è contraddetto:
prima dice di essere diventato un eremita isolato, poi un pellegrino.
Qui viene fuori tutta l'ipocrisia della volpe Renardo.
(32) 'Elmare' (v. 373)
Elmare è un piccolo villaggio delle Fiandre dell'est, fondato nel 1144 e scomparso in seguito ad un'alluvione nel 1375.
(33) 'ruspare' (v. 462)
Stiamo di fronte all'ennesimo doppio senso: 'scraven' significa sia 'ruspare' che 'flirtare'
(34) 'lì dove cadrà proprio male' (v. 496)
L'autore fa capire al pubblico che l'orso farà una brutta fine.
(35) 'molteplici sentieri tortuosi' (v. 505)
Il castello di Renardo è circondato da tanti sentieri tortuosi. Qui
Willem ha unito due elementi. Il primo deriva dalle scienze naturali:
quando fa la caccia, la volpe, astutamente, rincorre le sue prede
seguendo una linea tortuosa allo scopo di ingannarle. Il secondo è di
implicazione moralistica: Renardo non segue mai la strada retta, ma si
muove per strade tortuose.
(36) 'sul suo Dio' (v. 526)
L'enfasi su 'suo' implica che il re e Renardo non lodano lo stesso Dio.
Se partiamo dall'ipotesi che il regno di Nobile appartiene al regno
cristiano, Renardo, di conseguenza, è un eretico.
(37) 'poi disse Renardo dopo un lungo tempo' (v. 547)
Nei seguenti versi siamo testimoni della 'scone tale' di Renardo.
Renardo è caratterizzato anzitutto dal suo uso linguistico adulatorio e
ingannevole. Si serve astutamente del linguaggio per smascherare le
debolezze e i desideri nascosti dei suoi avversari.
(38) 'caro cugino' (v. 580)
Bruno chiama Renardo 'caro cugino' pur non avendo nessun legame
famigliare con la volpe. Nel mondo feudale si era soliti rivolgersi a
qualcuno che stava al cuore in termini di parentela.
(39) 'la moderazione conviene in ogni circostanza' (v. 672)
Questo detto stava scritto nel "Bouc van Seden", un manuale che
insegnava come vivere cortesemente, conservato nel manoscritto
medio-nederlandese più antico, il 'codice Eenman'. Sembra che Bruno
conosca le prescrizioni cortesi, in realtà si tratta di una maschera
che copre la sua voracità. Presto verrà smascherato dalla volpe Renardo.
(40) 'Julocca' (v. 731)
Willem si diverte a dare dei nomi equivoci ai suoi personaggi.
La moglie del prete significa 'io ti attrago'.
(41) 'Ogernen' (v. 804)
Un altro nome equivoco è quello della madre di uno dei villani.
'Ogernen' significa 'o volentieri'.
(42) 'il prete lo colpiva continuamente' (v. 811)
Qui la satira raggiunge un culmine. Willem da un 'immagine estremamente
negativa degli ecclesiastici. Il prete e il sagrestano usano oggetti
religiosi, il crocefisso e lo stendardo, come armi, con cui feriscono
crudelmente l'orso. Quando la moglie del prete - che non rispetta
persino il celibato - finisce nel fiume, pensa soltanto a salvare il
suo oggetto di desiderio, fregandosene delle altre donne in pericolo di
vita. In cambio offre l'assoluzione e l'indulgenza dei peccati.
(43) 'si aspettava, senza alcun dubbio' (v. 900)
Renardo sperava che Bruno fosse stato ucciso. Il suo tentato omicidio
aveva come scopo principale poter negare di essere convocato alla
seduta di tribunale. Renardo, quindi, non è un furbacchione simpatico,
bensì un assassino crudele.
(44) 'Monsignore, prete, che Dio la salvi' (v. 937)
Questo saluto indicherebbe che il clero fiammingo del medioevo era francesizzato.
(45) 'lo si convocherà tre volte' (v. 1023)
Il sistema giudiziario medievale prevedeva tre convocazioni. La terza
veniva considera umiliante per tutto il clan del convenuto.
(46) 'un uccello san Martino' (v. 1047)
La funzione dell'uccello è evidente: scoraggia Tiberto, il gatto
superstizioso. L'uccello lo sorvola alla sua sinistra, che evoca
negatività. Il pubblico, come Tiberto stesso, si aspetta che le cose
finiranno male per lui.
(47) 'e si alzò dal suo letto completamente nudo' (v. 1241)
L'autore ripeterà per ben tre volte che il prete stava nudo. Qui il
numero religioso tre viene usato in senso satirico. Nel medioevo si
dormiva nudi, il clero, invece, dormiva vestito come dimostrazione
della loro purezza. Il prete nel "Van de vos Reynaerde" vive molto in
modo mondano: oltre a dormire nudo, è sposato e ha più figli.
(48) 'gli saltò adosso tra le gambe' (v. 1266)
Il prete perde una sua 'campana', metafora del suo peccato. Willem usa
in modo ironico termini che riguardano l'ambiente religioso in questa
scena piccante, che è stata censurata per molto tempo nella tradizione
dei libri popolari.
(49) 'senti, disse, moglie Hermelina' (v. 1407)
A partire dal romanticismo, questo passaggio viene visto come un quadro
familiare idillico di un buon padre preoccupato per la sua famiglia. In
realtà, questi versi sembrano piuttosto un elogio del Male: Renardo
spera di trasmettere la sua malvagità alle sue prole.
(50) 'vorrei confessarmi con Lei' (v. 1437)
In casi urgenti, nel medioevo era ammesso confessarsi con un laico quando non c'era un prete nelle vicinanze.
(51) 'confiteor pater, mater' (v. 1453)
Renardo cambia, per scherzo, la formula della confessione dei peccati:
invece di 'confiteor pater, peccavi' dice 'confiteor pater, mater'.
(52) 'e Isengrimo, mi capisca' (v. 1481)
Renardo non ha l'intenzione di confessarsi seriamente. In effetti, non
dimostra nessun segno di pentimento. Al contrario, si confessa allo
scopo di esaltarsi raccontando i suoi misfatti. Il lupo Isengrimo è l'
avversario più grande di Renardo. Già a partire dal poema latino
"Ysengrimus" era chiaro l'ostilità tra il lupo e la volpe. Willem usa
la scena della confessione come un racconto quadro, nel quale narra
diverse storie su Renardo. Le disavventure di Isengrimo che suona le
campane e che pesca sul giaccio erano già note al pubblico visto che
fanno parte del "Roman de Renart".
(53) 'era il miglior gallo' (v. 1534)
Qui ci troviamo di fronte all'ennesimo superlativo. L'uso del
superlativo è una delle caratteristiche stilistiche del romanzo
arturiano. Persino a livello stilistico, Willem parodia il romanzo
arturiano.
(54) 'signora Yswenda' (v. 1651)
Renardo proprio quando sta parlando del suo tradimento, la chiama
ironicamente Yswenden, nome che la lega a suo marito Ysengrimus per
mezzo di un'allitterazione. Anche questo nome per la lupa è un gioco di
parole: 'vrauwe ys-wenden' significa 'donna è cambiare'. Willem allude
alla volubilità della donna.
(55) 'con lei ho fatto quello che avrei preferito ancora fare che averlo già fatto' (v. 1654)
La confessione di Renardo è uno dei passaggi più belli di "Van den vos
Reynaerde". Chiude la sua confessione con una frase molto ambigua: 'Con
lei ho fatto quello che avrei preferito ancora fare che averlo già
fatto.'. Non sembra molto pentito del suo malfatto nei confronti della
lupa. Nella sua confessione vengono alla luce il suo tono di scherno,
la satira, il suo orgoglio, la sua astuzia, tutto tranne un sincero
pentimento.
(56) 'e gli diede quaranta colpi' (v. 1676)
Grimberto sceglie una punizione di quaranta colpi. Questo è una
pentenza antica che viene ancora usata nei paesi islamici per punire
piccoli furti.
(57) 'allora a destra della via retta' (v. 1694)
Renardo si è appena confessato e già si allontana dalla retta via. È
chiaro che non si è confessato sinceramente. Renardo rimane un grande
ipocrita. Si interessa subito ad un gallo che 'buten den andren ghinc'.
Prende alla lettera il consiglio ambiguo di Grimberto 'ende te wegne
waert te stierne alle die hi buten weghe saghe'.
(58) 'Stomacone e Pancione' (v.1924)
Tiberto chiama in causa i fratelli di Isengrimo che per colpa di
Renardo sono stati impiccati. Non c'è traccia di questi lupi nella
tradizione della volpe Renardo. Si tratto di un testo medievale che non
è stato tramandato a noi? Contrariamente alla nomenclatura nelle
famiglie di Renardo e di Cantachiaro, i nomi dei lupi non sono
allitterativi. Ciò indica che la stirpe dei lupi non è una stirpe
nobile, lo confermano i significati dei nomi stessi.
(59) 'ora Renardo pagherà caro' (v. 1955)
Diverse volte nel testo 'offrire qualcosa da bere' significa
'picchiare, bastonare'. Qui si riferisce a preparare il patibolo e ad
impiccare la volpe.
(60) 'ordinò di restare, con la sua vita' (v. 1978)
Isengrimo ordina a sua moglie di rimanere con Renardo. Le sue parole
sono ambigue però: 'live' significa sia 'vita' che 'fidanzato'.
(61) 'Belsele' (v. 2097)
L'uso di toponomi[ljml2] noti al pubblico fa parte della politica di
credibilità di Willem. Belsele è un piccolo paese delle Fiandre
dell'est.
(62) 'alle Ardenne, quella zona selvaggia' (v. 2249)
Le Ardenne sono una zona rocciosa e silveste situata nel sud del
Belgio. Nelle 'chanchons de geste' le Ardenne venivano spesso associate
con personaggi negativi. Questa zona selvaggia sta in netto contrasto
con 'il dolce Waasland', zona fatta di pianure nelle Fiandre.
(63) 'trascinò la coda' (v. 2391)
Renardo inventa che suo padre cancella le sue tracce con la coda. Questa astuzia non è propria alle volpi bensì ai leoni.
(64) 'Somme' (v. 2443), 'Leie' (v. 2641)
La Somme e la Leie sono due fiumi che scorrono nelle Fiandre.
(65) 'dopodiché il re prese un filo di paglia' (v. 2542)
Re Nobile prende un filo di paglia che probabilmente getterà via come
simbolo del condono dei peccati di Renardo. Questo gesto viene ripetuto
quando Renardo offre simbolicamente il suo tesoro al re.
(66) 'un bosco che si chiama Hulsterloo' (v. 2575)
Hulsterloo è un piccolo villaggio nelle Fiandre dell'est. Nei romanzi
cavallereschi è ricorrente un luogo idillico in mezzo ad un bosco dove
scorre una sorgente con acqua fresca all'ombra di qualche albero, posto
dove il cavaliere si riprende. Il bosco di Hulsterloo invece viene
descritto da Renardo come un luogo maledetto abitato dai gufi notturni.
(67) 'Aquisgrana' (v. 2630)
Aquisgrana, città fiamminga, era il capitale del sacro romano impero.
(68) 'Renardo è capo servitore' (v. 2801)
La funzione di capo servitore era una delle funzioni più importanti a
corte come sembra dall'opera di Gislebert van Bergen, "Ministeria curie
Hanoniensis", scritta intorno al 1214. Il capo servitore, oltre ad
essere responsabile per l'organizzazione della vita a corte, era uno
dei consiglieri più stretti del re.
(69) 'Il cappellano, Belino l'ariete' (v. 2942)
Come nel "Roman de Renart", Belino ha il ruolo di cappellano in "Van den vos Reynaerde".
È stato lui a spronare gli altri ad accusare Renardo, quindi è uno
degli avversari più grandi di Renardo. Per colpa della volpe astuta
entrano in conflitto il re che rappresenta il potere mondano e Belino,
rappresentante del potere ecclesiastico. Alla fine avrà il sopravento
il potere mondano.
(70) 'Conosco una selva' (v. 3153)
Renardo descrive in modo idillico la selva nella quale vuole rifugiarsi
con la sua famiglia. Invita sua moglie a ritirarsi dalla comunità,
topos dei romanzi cavallereschi. Quella 'terra promessa' non è mai la
situazione finale per i protagonisti dei romanzi cavallereschi. Ma per
Renardo la sarà.
(71) 'aiuto, che razza di lettera è?' (v. 3376)
La testa della lepre Cuwarto significa lo smascheramento del cappellano
Belino, che è stato ingannato da Renardo, ma anche lo smascheramento di
Nobile come sovrano e con lui, di tutto l'ordine feudale che
rappresenta. Come punizione per la sua avidità riceve la testa della
sua unica guida che l'avrebbe potuto portare al tesoro. Tra le righe si
capisce che il tesoro non esiste.
(72) 'e iniziò ad emettere uno dei suoni più terribili' (v. 3386)
L'urlo del leone è un vero climax: il re è stato confrontato con la
propria stupidità. Ma nella società medievale era ben più grave
rendersi conto di aver perso la propria reputazione.
[ljml1]moet zijn: Città
[ljml2]moet zijn: toponimi